Da La Stampa del 03/11/2004

Latte di razza

di Massimo Gramellini

Come mai in Italia il latte in polvere costa il quadruplo che nel resto d’Europa e persino dopo l’intervento calmieratore del ministro Sirchia si continuerà a pagarlo più del doppio? Perché le aziende produttrici vogliono guadagnarci troppo, direte voi. Ingenui. Una prima ragione è che sul latte in polvere gravano tasse altrove assenti: l’Iva, ma soprattutto l’Uva (intesa come raggi abbronzanti), che contribuisce a finanziare missioni umanitarie: centinaia di convegni in luoghi ameni e soleggiati. Organizzare un raduno di medici dentro un ospedale appare in effetti fuori luogo, almeno finché esisteranno certi alberghi a Capri e Palma di Mallorca. E’ in quegli ambienti appartati che il convegnista può meglio apprezzare il contributo di una particolare marca di latte alla causa dell’umanità e suggerirne poi l’adozione ai propri clienti, pardon, pazienti.

Ma se oltre confine lo stesso latte viene pagato meno della metà, ai medici stranieri dove glieli organizzano i convegni, in uno scantinato? Come mai le aziende non sentono il bisogno di far abbronzare anche loro? La bontà di queste obiezioni ha costretto i produttori a svelare la segretissima ragione per cui solo da noi il latte in polvere costa come l’oro. Perché lo vale. Per ragioni ancora misteriose, infatti, il latte riservato ai bebè italiani sarebbe più sostanzioso e nutriente di quello dato agli altri bebè. E allora cosa saranno mai 20 euro di più al chilo, di fronte alla prospettiva di svezzare una generazione di bambini che farà sembrare quelli tedeschi degli smidollati?

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