Da La Repubblica del 06/10/2004

Abbreviati i tempi di avvicendamento tra i reparti, mancano istruttori per addestrare le truppe irachene

"Abbandonare Bagdad da marzo l´America non ha più soldati"

Ridimensionato il ruolo operativo affidato dei reparti che resteranno
Tempi insufficienti per addestrare e armare il "nuovo esercito" e la polizia irachena
Da quest´anno in picchiata l´arruolamento nella Guardia nazionale Usa

di Carlo Bonini

La ritirata dell´esercito americano dall´Iraq è cominciata. Mancano professionisti delle armi che restituiscano sangue e ossigeno alle sue stremate divisioni al fronte. Si sono fatte sottili le file dei riservisti disposti a barattare la vita per un turno ben pagato nell´inferno mesopotamico. Via dall´Iraq, allora. E anche molto presto. Con una data già in calendario: inizio del prossimo marzo. E nuovi piani operativi che ridimensionano il ruolo di «stabilizzazione» affidato alle truppe che resteranno nel teatro delle operazioni. Lo riferiscono fonti vicine al Pentagono. Lo documentano i dati sulla "forza attiva" elaborati in queste settimane dagli Stati maggiori, l´annunciata riduzione dei turni di servizio e rotazione al fronte, la mesta fotografia trasmessa a Washington dal generale David Petraeus sullo stato di avanzamento del piano di ricostruzione dell´esercito iracheno. Gli uni e gli altri illuminano una mossa che l´Amministrazione non può rendere esplicita in queste ultime tre settimane di campagna elettorale. Svelano le ragioni che, non più tardi di sabato scorso, hanno sollecitato il segretario della Difesa Donald Rumsfeld ad affacciare dai microfoni di "Fox news" l´ipotesi di «un ritiro prima del previsto, a patto che il governo di Bagdad sia in grado di gestire la sicurezza», nella consapevolezza che questa condizione non esiste oggi, né si annuncia per il prossimo futuro.

«Avevamo assunto un impegno strategico che poggiava su due gambe - riferisce una qualificata fonte vicina al Pentagono - Consegnare all´Iraq un governo degli iracheni e, contemporaneamente, una forza militare e di polizia in grado di proteggerne la sopravvivenza, alleggerendoci di parte del peso delle operazioni sul terreno. La prima è questione appesa all´esito delle elezioni di gennaio e non interpella il Pentagono. Ma la seconda lo riguarda da vicino ed è irraggiungibile sia nel breve, che nel medio periodo. Almeno nei numeri che erano stati immaginati. Di più. A partire da marzo, i turni di rotazione delle nostre truppe al fronte scenderanno dagli attuali 12 mesi a 7. Questo significa che, a partire dalla prossima primavera, dovendo procedere ad un avvicendamento di truppe nel successivo mese di ottobre, non avremo sufficiente personale per rimpiazzare le attuali truppe al fronte mantenendone intatto il numero. Dunque, che la nostra ritirata comincia...».

Le indicazioni della fonte sono irrobustite da qualche numero elaborato dal Pentagono. Il Dipartimento della Difesa pesca oggi in un serbatoio che conta 499 mila uomini in servizio attivo e 700 mila potenziali volontari tra Guardia nazionale e riservisti (complessivamente, un terzo in meno del 1991, vigilia della prima guerra del Golfo). Tre anni e mezzo di guerra di questo serbatoio hanno raschiato il fondo. 130 mila uomini sono nel deserto iracheno. 9 mila in Afghanistan. 3.000 in Bosnia. 37 mila in Corea del Sud. «La domanda di uomini è continua e spaventosa - avvertiva già nel gennaio scorso, di ritorno dall´Iraq, il generale John Vines, comandante del 18esimo corpo d´armata di stanza a Fort Bragg - Le nostre truppe sono già al loro secondo turno di combattimento». E il loro numero - va aggiunto - è fisso. Per infoltire i ranghi dell´esercito sono necessari denari e tempo. I primi si possono anche trovare (una stima presentata al Congresso da 128 deputati di maggioranza e opposizione indica che 10 mila uomini in più graverebbero significherebbero sul bilancio per un miliardo e duecento milioni di dollari l´anno), ma il secondo manca. «Per aumentare il numero della forza attiva da impiegare in combattimento - spiega una fonte militare - sono necessari tra i 3 i 4 anni di addestramento». Un tempo inconcepibile per la crisi irachena. Che segnala un vuoto cui non è più in grado di supplire quel fondo volontari chiamato Guardia Nazionale.

Gli obiettivi di reclutamento per il prossimo anno - è storia dei giorni scorsi - non sono stati raggiunti, fissando il numero delle nuove reclute per il 2005 a 51 mila, 5 mila in meno della soglia prevista dal Dipartimento della Difesa. Il che - annota ancora la nostra qualificata fonte vicina al Pentagono - somma problema a problema. «Circa la metà del personale arruolato nella Guardia Nazionale è composto da reclute. Il resto da militari di carriera che transitano dai ranghi attivi a quelli della riserva. Ora, al di là delle nude cifre, quel che sappiamo è che il reclutamento ha subito una contrazione con picchi del 70 per cento e che il transito di uomini dalle unità di combattimento a quelle della Guardia Nazionale è risibile. Il che significa che la qualità media delle unità della riserva è drammaticamente scaduta. Perché per fare di una recluta un soldato c´è bisogno che chi gli è accanto abbia provato almeno una volta che significhi combattere. Se quel qualcuno non c´è più, quella recluta resterà sempre solo una recluta». Al Pentagono, la chiamano «la rivolta dei sergenti». Nel 2003, anno della "mission accomplished", della missione compiuta, in centinaia hanno chiesto di lasciare non solo il fronte, ma l´esercito. E per arginare l´emorragia, Rumsfeld ha dovuto firmare all´inizio di quest´anno un´ordinanza di "Stop/loss", argine alla perdita, come la chiamano gli addetti ai lavori. La sesta, in tre anni e mezzo di guerra. Poche righe che impediscono a chi è impiegato nella "forza attiva" di abbandonare l´uniforme durante il dispiegamento al fronte e nei 90 giorni che seguono il rientro a casa.

E´ un´inerzia che i prossimi mesi non promettono di invertire. Come documentano anche le ultime notizie che da Bagdad il generale David Petraeus ha trasmesso alla Casa Bianca. L´ex comandante della 101esima divisione aviotrasportata, oggi alla testa del "Multinational Security Transition Command", la struttura incaricata di consegnare all´Iraq del dopo Saddam un esercito e una polizia nuovi di zecca, avverte che quell´esercito e quella polizia non saranno mai pronti per capacità e numeri nei tempi immaginati dall´Amministrazione Bush. Dei 164 mila iracheni che oggi vestono un´uniforme, solo 100 mila sono di pronto impiego. Nelle caserme di Bagdad manca equipaggiamento, manca, soprattutto, almeno il 50 per cento degli addestratori americani necessari a trasformare in soldati le migliaia di disperati che spinti dalla fame si avvicinano ai centri di reclutamento, sfidando le autobomba. La diserzione affligge tra il 30 e il 70 per cento della forza arruolata. «Assisto a dei progressi - ha scritto Petraeus il 26 settembre scorso sul "Washington Post" - ma non c´è dubbio che il futuro è pieno di difficoltà. Dobbiamo sapere che non tutti i soldati e i poliziotti che addestriamo reggeranno allo stesso modo alle sfide che li aspettano». C´è da credergli. E nel farlo, conviene anche annotare un´ultima considerazione di fonte militare. «Considerando gli indici di diserzione attuali, per raggiungere la soglia prevista di 200 mila iracheni inquadrati in unità regolari, ne dovremo addestrare tra i 285 e i 500 mila. Oggi, siamo fermi sotto i 180 mila. E ci sono voluti 18 mesi. Non è soltanto una sfida al tempo. E´ una sfida alla ragionevolezza. Anche un magnifico ufficiale come Petraeus lo sa».

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