Da La Stampa del 24/09/2004
Il peggior nemico delle donne
di Fiamma Nirenstein
In queste ore di terribile angoscia per Simona Pari e Simona Torretta, un pensiero tragico, uno fra i tanti di queste ore, attraversa la mente: il terrorismo è il peggiore nemico del genere umano in generale, ma in particolare del genere femminile. E’ il peggior nemico delle donne. La guerra terrorista le aggredisce da tre lati.
Il primo: quello dello scopo finale del terrorismo islamista, della sua fantasia corrosiva e debilitante per ognuna. L’islamismo intende fare di noi donne, di tutte le donne, persone dimezzate, che non partecipano alla vita sociale se non per esserne ancelle mute, soggette alle leggi della poligamia, del vergognoso nascondimento del corpo, del patriarcato, delle mutilazioni sessuali, della sanzione definitiva del comportamento sessuale deviante. E non è solo alle proprie donne che l’estremismo islamista vuole imporre le sue leggi, ma le immagina capaci di regolare i costumi, l’anima stessa di ogni creatura che parli e viva al femminile, anche quando questo femminile abbia prescelto un genere di vita completamente altro, quello nostro, della parità dei sessi, dell’emancipazione.
In secondo luogo, il terrorismo fa della società il primo fronte dell’attacco, e la società è la casa della nostra emancipazione. Mai è stata così ostile: se scegli di viaggiare, di andare al caffè con le tue amiche, di lavorare, di usare il tuo diritto a frequentare un luogo pubblico, di essere una madre che non teme per i suoi figli quando vanno a scuola, di usare le strutture pubbliche, insomma di vivere, ecco che invece il terrore fa di te un soldato sulla prima linea che non è più il fronte ma la società civile. Ti spinge indietro nella tana della solitudine che è il guscio della condizione femminile dei secoli passati.
Terzo: il terrorismo costringe, ha costretto le donne al più orribile misconoscimento di se stesse, ovvero a essere madri fiere quando i figli scelgono la terribile strada del terrorismo suicida, quando scelgono di essere shahid. Le madri diventano le sacerdotesse della nuova religione che il terrore detta oggi, quella dell’idolatria, della lode sconsiderata del terrorista suicida. La maternità della vita si fa maternità della morte. Così si è creata una profonda distorsione dell’idea stessa del ventre, del corpo femminile, che si accentua nell’uso sempre più frequente delle donne come bombe umane: sono state emanate specifiche fatwe che addirittura le liberano dei doveri religiosi quando decidono di farsi saltare per aria uccidendo più persone possibile. Quanto stravolgimento del senso della femminilità connessa a un maternità universale (che una donna sia madre biologica oppure no) ci sia lo si è visto in particolare in Ossezia, e in Israele, ed è un orrore epocale che può infettare un mondo intero se non combattuto.
Le chiome, lo sguardo stesso, la libertà di essere lontane da casa, donne sole, in grado di fare ciò che desideravano, nessuno può convincere una donna che questo, fra mille altri calcoli non sia stato una delle spinte a rapire, a tormentare Simona e Simona. Per loro bisogna combattere e sperare, in quanto donne contro il terrore.
Il primo: quello dello scopo finale del terrorismo islamista, della sua fantasia corrosiva e debilitante per ognuna. L’islamismo intende fare di noi donne, di tutte le donne, persone dimezzate, che non partecipano alla vita sociale se non per esserne ancelle mute, soggette alle leggi della poligamia, del vergognoso nascondimento del corpo, del patriarcato, delle mutilazioni sessuali, della sanzione definitiva del comportamento sessuale deviante. E non è solo alle proprie donne che l’estremismo islamista vuole imporre le sue leggi, ma le immagina capaci di regolare i costumi, l’anima stessa di ogni creatura che parli e viva al femminile, anche quando questo femminile abbia prescelto un genere di vita completamente altro, quello nostro, della parità dei sessi, dell’emancipazione.
In secondo luogo, il terrorismo fa della società il primo fronte dell’attacco, e la società è la casa della nostra emancipazione. Mai è stata così ostile: se scegli di viaggiare, di andare al caffè con le tue amiche, di lavorare, di usare il tuo diritto a frequentare un luogo pubblico, di essere una madre che non teme per i suoi figli quando vanno a scuola, di usare le strutture pubbliche, insomma di vivere, ecco che invece il terrore fa di te un soldato sulla prima linea che non è più il fronte ma la società civile. Ti spinge indietro nella tana della solitudine che è il guscio della condizione femminile dei secoli passati.
Terzo: il terrorismo costringe, ha costretto le donne al più orribile misconoscimento di se stesse, ovvero a essere madri fiere quando i figli scelgono la terribile strada del terrorismo suicida, quando scelgono di essere shahid. Le madri diventano le sacerdotesse della nuova religione che il terrore detta oggi, quella dell’idolatria, della lode sconsiderata del terrorista suicida. La maternità della vita si fa maternità della morte. Così si è creata una profonda distorsione dell’idea stessa del ventre, del corpo femminile, che si accentua nell’uso sempre più frequente delle donne come bombe umane: sono state emanate specifiche fatwe che addirittura le liberano dei doveri religiosi quando decidono di farsi saltare per aria uccidendo più persone possibile. Quanto stravolgimento del senso della femminilità connessa a un maternità universale (che una donna sia madre biologica oppure no) ci sia lo si è visto in particolare in Ossezia, e in Israele, ed è un orrore epocale che può infettare un mondo intero se non combattuto.
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