Da La Repubblica del 19/09/2004

Così i terroristi cercano consensi

La strategia di Al Qaeda e l´onore delle donne

di Renzo Guolo

Dopo il nuovo ultimatum di Zarqawi gli americani smentiscono che a Abu Ghraib siano recluse altre detenute se non Huda Salh Mahdi Amash e Rihab Taha, accusate d´essere le madrine delle supposte armi di distruzione di massa dell´ex-raìs. Ma agli jihadisti non interessa la sorte delle tenebrose dark ladies di Saddam. Preme piuttosto agitare la questione delle molte sconosciute scomparse nel "dopoguerra" iracheno. Donne, si dice, svanite nel nulla dopo incursioni notturne nelle case di marines o commando inglesi. Donne richiuse, senza diritti e perciò prive protezione, ieri in qualche raggio del girone infernale di Abu Ghraib. Oggi forse in altre simili gallerie dell´orrore. Nessuno sa con precisione quante e dove siano. Si sa solo che il numero delle arrestate è cresciuto con l´espandersi del conflitto. E che sarebbero detenute per ottenere informazioni sui loro figli o mariti, sospettate di simpatizzare o militare per la guerriglia; o per premere sui membri maschi della famiglia ancora in circolazione, perché rivelino qualcosa su amici o vicini in cambio del rilascio delle loro parenti. Una prassi, quella delle confessioni familiari estorte, autentiche o meno, assai comune ai tempi di Saddam; ma intollerabile in un paese che si vorrebbe avviare sulla strada dello stato di diritto e della democrazia. Una realtà nota, se non nelle dimensioni perlomeno nelle forme, anche al governo italiano. Tanto che, nel tentativo di far liberare le due Simone, il Consiglio dei ministri ha approvato, dieci giorni fa, un comunicato in cui ipotizzava una possibile strategia di pressione per far liberare le "persone ingiustamente detenute" in Iraq. Ipotesi subito bollata come inaccettabile dal governo Allawi. Una realtà su cui giurano organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch, che hanno più volte denunciato casi di violenza sessuale tra le detenute in Iraq.

Eppure questo lato della guerra è stato oscurato, e le donne imprigionate bandite dalla scena mediatica. Per ragioni politiche innanzitutto: la teoria dell´esportazione della democrazia ha già subito un duro colpo dagli aguzzini in divisa di Abu Ghraib. Immagini di donne musulmane nelle prigioni del "nuovo Iraq", o addirittura violentate, avrebbero fatto deflagrare il mondo islamico. E poi perché quelle donne non fanno notizia: quando riescono a tornare a casa s´inabissano nel silenzio. Per denunciare quanto hanno vissuto tra le sbarre occorrerebbe loro almeno il sostegno familiare. Ma alla depressione che spesso segue la detenzione, si aggiunge la stigmatizzazione della parte maschile della famiglia. Anche se fosse stato loro risparmiata l´infamia dello stupro, la promiscuità carceraria dell´era dell´occupazione le ha rese "impure". Un´onta insopportabile da lavare nella realtà clanica e tribale irachena.

Come in altre società dei paesi islamici, anche in Iraq l´onore della comunità e quello familiare sono strettamente legati alla copertura del corpo femminile e alla sua separazione dagli estranei. Donne che sono state in balia di sconosciuti, che possono aver violato il loro corpo o semplicemente la loro intimità, sono considerate perdute dalla comunità e dalla famiglia. La prospettiva di una simile lacerazione genera un´ansia sociale diffusa. Non importa quanto sia diffuso il fenomeno; l´immaginario collettivo è più forte della realtà. È su queste paure, alimentate dal fatto che, nel tracollo dell´ordine pubblico del dopoguerra e delle regole di convivenza, le donne sono diventate quotidianamente oggetto di sequestri, stupri e omicidi, che fa leva la richiesta di liberare le detenute. Un clima di imbarbarimento che ha reso possibile, culturalmente prima ancora che politicamente, anche il sequestro delle due donne italiane.

Facendosi paladino della protezione delle donne musulmane nei confronti di soldati "infedeli" e poliziotti "apostati", Zarqawi innesta abilmente la sua strategia del terrore sul sentire comune. Cercando di guadagnare una popolarità di cui ha bisogno anche per attutire le conseguenze che le sue devastanti azioni terroristiche scaricano sulla popolazione civile. In particolare in città come Falluja, Samarra o Tal Afar, investite dai raid aerei americani o da violenti combattimenti a causa della sua presenza o dei suoi seguaci. Nella richiesta di liberazione delle detenute da parte di Zarqawi vi è infine un aspetto "religioso". A Falluja e Samarra, Tawhid Wal Jihad ha proclamato l´emirato e imposto la shari´a. Ma un emiro che non sappia proteggere le donne dalla "contaminazione" e dalla violenza, e dunque l´ordine comunitario, rischia di essere delegittimato. Impugnando sul filo della spada la questione delle prigioniere, Zarqawi cerca di allargare il suo consenso. Al di là dell´esito dei sequestri in corso, le democrazie che hanno voluto la guerra, o ne sono state con leggerezza coinvolte, possono cercare di spuntare dalle mani del terrorismo quell´arma tagliente. Togliendogli almeno il paravento della difesa dei diritti e delle donne.

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