Da La Repubblica del 14/07/2004

La barbarie antisemita che scuote la Francia

di Jean Daniel

Giovedì scorso, quando, in un luogo altamente significativo come Chambon-sur-Lignon, Jacques Chirac pronunciò la sua allarmata allocuzione sull´antisemitismo a nessuno è sfuggito che il presidente aveva fatto proprio un intenso, intimo moto di rivolta, estraneo a ogni strategia o tatticismo politico; e trattandosi di antisemitismo, questa sua reazione non ha nulla di sorprendente. Il presidente ha parlato prima che si diffondessero le notizie sull´aggressione nella Rer, rivelatasi poi frutto della fantasia di una mitomane. Ma vero o falso che sia stato l´ultimo attacco antisemita, la sostanza non cambia: si è passato il segno.

Più attento, a quanto pare, all´allarme di Dominique de Villepin di quanto lo sia stato agli avvertimenti dei suoi predecessori, il presidente ritiene che a questo punto si sia superata una «linea rossa», e sia quindi doveroso informare la nazione per mobilitarla. Dopo aver sottolineato con insolita fermezza il carattere personale della sua determinazione, il presidente ha dichiarato che quanto lo Stato si prepara a fare non servirà a nulla senza un soprassalto da parte di «ciascuno» di noi. Troppo grande è ormai l´indifferenza dell´opinione pubblica. Su questo punto è però necessario essere più chiari. Quel «ciascuno», nel caso di specie, sta a designare coloro che in qualche modo mettono in conto la violenza antisemita, imputandola unicamente alla tragedia mediorientale.

Ma quand´anche quest´imputazione fosse in parte coerente, l´indifferenza, o peggio, la «comprensione» sarebbero tanto criminali quanto irresponsabili. Oggi dobbiamo guardare la realtà in faccia. Si può infatti risalire all´origine di sentimenti antisionisti, trasformatisi poi in reazioni anti-israeliane e infine in manifestazioni di ripulsa contro gli ebrei che si schierano incondizionatamente con Israele. Com´è evidente, un itinerario del genere si accompagna alla solidarietà nei confronti della Palestina. Ma le spiegazioni devono fermarsi nel momento stesso in cui inizia la violenza. Quando si precipita nell´antisemitismo razzista e nella violenza indiscriminata contro una comunità, allora quella violenza diventa insopportabile, intollerabile, inammissibile. E tutti i francesi, siano essi ebrei, musulmani, cristiani o altro, sono tenuti ad opporvisi nel modo più radicale.

Ma chi sono quei teppisti? Sono giovani musulmani, esclusi, disoccupati, delinquenti, che non partecipano in alcun modo alla vita nazionale del paese in cui, per caso, sono nati; un paese che non ha mai pensato di dare loro l´orgoglio di essere suoi cittadini. La loro causa non ha nulla a che fare con la Costituzione europea, né con le 35 ore, né con il duello Chirac-Sarkozy, né con il matrimonio tra omosessuali. E´ la Palestina. D´ora in poi, la loro pratica del vandalismo sarà irrigata dall´odio verso gli ebrei. Ma come sono arrivati a questo punto?

Alla gestione dell´attuale ministro dell´interno si attribuisce una crescente preoccupazione, resa più acuta dall´incalzare della predicazione razzista nei luoghi di preghiera, dove gli imam stranieri sfuggono a ogni controllo. Peraltro, talvolta l´allarme sarebbe scattato grazie alla cooperazione dei servizi di intelligence e di polizia dei tre Stati maghrebini. Le nuove reti dette «islamiste» predicherebbero però solo di rado la violenza, e comunque in maniera sempre indiretta. Il loro obiettivo primario sarebbe quello di contrastare tutti gli «inquinamenti» della democrazia degli Infedeli. Ma la denuncia di Israele è ormai entrata stabilmente a far parte della cultura diffusa.

La ripresa dell´antisemitismo tra i cosiddetti «loubards», o bulli di periferia, si alimenta delle quotidiane ricadute del conflitto israelo-palestinese su tutti gli strati della società francese. L´eccezionale attenzione mediatica per questo conflitto, divenuto giudeo-arabo, lo rende ossessivamente presente in tutti gli ambienti; tanto che nell´inconscio collettivo si finisce per associare quell´area del Medio Oriente al ricordo di altre situazioni insolubili, come l´annoso problema della celebre «polveriera dei Balcani», e per iscriverla nell´elenco delle zone di barbarie dove i protagonisti si equivalgono tutti.

A forza di ascoltare i telegiornali, si finisce per pensare che a morire siano i giovani palestinesi, e ad ammazzare i giovani israeliani. Questo il messaggio che viene recepito da un´opinione saturata di informazioni. Ma indipendentemente dal giudizio di ciascuno - i lettori conoscono da tempo la nostra posizione su questo conflitto - da quando la seconda Intifada ha trasformato l´insurrezione in guerra larvata, non si dovrebbe parlar d´altro che di un´insopportabile sproporzione delle forze in campo. E ripetere ogni volta, con una frase che indubbiamente sembrerà troppo lunga ai nostri commentatori: in risposta a un attentato suicida che ha causato x morti, tra cui un dato numero di bambini, Israele ha reagito con una serie di bombardamenti indiscriminati e devastanti.

Senza voler dare un giudizio, l´intenzione qui è mostrare come un´opinione pubblica possa essere condizionata, fino a condurla alle più pericolose derive. Oramai, attraverso i suoni e le immagini Israele è associato all´occupazione e alla repressione. E ciascuno reagisce a suo modo. Sono molti gli ebrei che vedono in questa deriva mediatica i segni precursori di un ritorno al vecchio antisemitismo; e ciò li fa sentire ancora più vicini a uno Stato d´Israele oggi isolato e condannato - a causa, anche questo va detto, dell´irresponsabilità dei suoi dirigenti - in tutte le istanze internazionali.

D´altra parte, sono molti anche i musulmani per i quali è inaccettabile vedere gli Stati arabi e l´Unione europea impotenti davanti a quella che considerano l´umiliazione dei palestinesi. Da qui ad ammettere che quella loro impazienza possa talvolta sfociare sulla violenza, il passo è breve. Altri ancora, e non solo i musulmani, chiedono un atteggiamento indulgente davanti alle crisi di violenza di chi - contrariamente ai francesi - non ha mai avuto nessun tipo di corresponsabilità nel genocidio degli ebrei. Ma a questo punto l´argomentazione diventa farneticante. Intanto, non si vede perché il fatto di non aver partecipato a un crimine possa autorizzare a commettere violenze. D´altra parte, non possiamo né vogliamo dimenticare di essere tutti eredi della nazione francese, con tutto il suo passato. Personalmente, ho integrato il senso di colpa associato alla persecuzione dei protestanti e al trattamento inflitto ai colonizzati. Alcune cose non si possono dire né fare in un paese che rispetta i doveri legati alle sue memorie.

Tutti devono sapere - e ricordarlo è anche compito del presidente - che questa nazione, ove i fedeli delle diverse religioni hanno scelto di vivere e della cui cittadinanza devono essere fieri, questa nazione ha una storia. E tutti dovrebbero conoscere, ad esempio, la storia di quella regione della Haute-Loire, la cui popolazione ha protetto durante l´occupazione migliaia di ebrei: il luogo in cui Jacques Chirac ha scelto di pronunciare il suo discorso.

Tutto questo, una volta lo si comprendeva. Ai tempi in cui ci si integrava in una collettività ove la scuola, l´esercito, le chiese e i sindacati formavano i cittadini. Così è stato per lungo tempo. I nuovi cittadini non si sognavano allora né di affermare le proprie differenze, né di esigere dal paese in cui erano accolti l´insegnamento della propria cultura, né di brandire le loro «identità omicide» («identités meurtrières») o le loro «radici» vendicative, per citare le testuali parole di Amin Maalouf. E non si discuteva del velo, del separatismo sessista nelle piscine e così via.

La grande, arrogante innovazione di talune minoranze etniche è il rifiuto dell´eredità di una nazione, unito alla pretesa di influenzarne il futuro e di trasformarla. Alcuni, indubbiamente, hanno ragione di rifiutare che si parli di una loro «integrazione» in un paese del quale già sono figli. Ma questo rifiuto, di per sé rispettabile, non ha lo stesso significato quando ad esprimerlo sono i soldati di un progetto religioso. Se costoro non vogliono che ci si interroghi sul modo in cui sono stati integrati o meno in un passato nazionale, è perché intendono contribuire alla costruzione di un futuro ove far prevalere i loro valori.

La numerosa, pacifica e industriosa comunità musulmana di Francia ha vari motivi di preoccupazione, che non vanno considerati secondari. E´ una comunità che soffre di essere associata al terrorismo, dai francesi come dai turisti, soprattutto dopo l´11 settembre 2001. E subisce un rifiuto razzista fortemente discriminatorio, benché per lo più non violento. A dire il vero, le élite di questa comunità hanno piena consapevolezza del fatto che gli interessi dei musulmani di Francia sono identici a quelli dei francesi di religione ebraica. Come diceva, ai tempi della mia infanzia, un medico algerino: nessuno è più simile a un antisemita di un antiarabo. Gli uni e gli altri sono dunque costretti ad affrontare una realtà inquietante, in quanto passionale e veicolo di miti contrapposti da secoli. Ma se i riformatori dell´Islam vedono la Francia come un´opportunità per la loro audacia, la società francese dovrebbe secernere comunità di prospettive per il Medio Oriente. [In ogni caso, per il momento la società francese è in trappola].
Annotazioni − Traduzione di Elisabetta Horvat.

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