Da Corriere della Sera del 10/06/2004
Bush invoca la Nato. Chirac lo frena
Al G8 ospite il presidente iracheno Yawar. I Grandi verso la riduzione del debito di Bagdad
di Ennio Caretto
SAVANNAH - Il giorno dopo il passaggio della risoluzione 1546 dell'Onu che restituisce la sovranità a Bagdad, George Bush chiede un maggiore coinvolgimento della Nato in Iraq. Affiancato dal premier britannico Tony Blair, che lo appoggia, dichiara che «lavoreremo con i nostri amici perché la Nato continui a svolgere il ruolo che già svolge e, speriamo, lo ampli». Il presidente ammette che «esistono ostacoli» ma si dice fiducioso: «Le prospettive sono buone». Lo raggela il leader francese Chirac: «Non è nella vocazione della Nato intervenire in Iraq, non è auspicabile. Né si può discutere la questione se il governo iracheno non lo richiede». Non è tuttavia un nuovo scontro tra America e Francia perché da un lato si delinea la richiesta di Bagdad, e dall'altro dal G8 di Sea Island pare emergere un compromesso per il vertice dell'alleanza a Istanbul a fine mese: l'invio soltanto di istruttori e forse contingenti di polizia militare, come la Germania sarebbe disposta a fare.
La svolta all'Onu e la sua vittoria diplomatica hanno trasformato Bush. C’è spazio anche per le battute: il presidente yemenita si presenta con il tradizionale pugnale alla cintura e lui scherza: «Ecco le misure di sicurezza». Il presidente scosso dai rovesci in Iraq e dallo scandalo delle torture è tornato il leader forte della guerra al terrorismo, che sottopone gli alleati a un «forcing»: comincia la giornata con un appello a «una sostanziale riduzione» del debito di Bagdad, tra 120 e 140 miliardi di dollari, riduzione che viene concordata in una misura del 50-60% a seconda dei Paesi. Poi riceve il nuovo presidente iracheno Ghazi al Yawar, a cui consiglia di «prendere decisioni sagge nel nome del suo popolo». Per ultimo discute dell'aumento delle truppe in Iraq. Comunica che quelle Usa, già portate da 135 mila a 140 mila uomini, saliranno a 145 mila con l'invio di 5 mila marines.
Fa capire - ma è inascoltato - che la Nato dovrebbe assumere il controllo della regione affidata alla Polonia.
E' probabile, invece, che Bush ottenga dagli alleati notevoli contributi economici e politici. Su questi piani, l'Ue assume l'iniziativa. In un rapporto ai ministri degli Esteri dei 25 che si riuniranno lunedì, l’Unione Europea traccia una strategia in tre fasi: il sostegno al passaggio dei poteri a Bagdad, in particolare alle libere elezioni di dicembre; la partecipazione alla ricostruzione dell'Iraq nel periodo seguente; la firma di accordi di cooperazione e commerciali. E' un segnale chiaro: l'Ue vuole affiancarsi agli Usa in «un impegno crescente a medio termine», dice il commissario Chris Patten, e non appena opportuno aprirà una missione in Iraq «per reintegrare il Paese nella comunità internazionale», sottolinea Javier Solana.
La Casa Bianca si professa soddisfatta: «Non ci aspettavamo truppe dall'Ue, sta già assumendo la responsabilità della sicurezza in Bosnia».
Il nuovo spirito di unità che anima l'Onu, l'Ue, che finalmente forma un fronte comune, e il G8, non trova però riscontro a Bagdad. Il New York Times svela che i curdi, delusi dal mancato inserimento nella risoluzione 1546 di un accenno alla loro autonomia, minacciano la secessione. Il giornale cita una lettera a Bush dei loro leader Massud Barzani e Jalal Talabani. «Ci asterremo dal partecipare alle elezioni - scrivono - se il governo tenterà di annullare la costituzione che riconosce la nostra indipendenza e gli negheremo l'accesso al Kurdistan». Un problema enorme per un Paese che rischia la guerra civile, che mette a rischio il processo politico tracciato dalla coalizione.
La svolta all'Onu e la sua vittoria diplomatica hanno trasformato Bush. C’è spazio anche per le battute: il presidente yemenita si presenta con il tradizionale pugnale alla cintura e lui scherza: «Ecco le misure di sicurezza». Il presidente scosso dai rovesci in Iraq e dallo scandalo delle torture è tornato il leader forte della guerra al terrorismo, che sottopone gli alleati a un «forcing»: comincia la giornata con un appello a «una sostanziale riduzione» del debito di Bagdad, tra 120 e 140 miliardi di dollari, riduzione che viene concordata in una misura del 50-60% a seconda dei Paesi. Poi riceve il nuovo presidente iracheno Ghazi al Yawar, a cui consiglia di «prendere decisioni sagge nel nome del suo popolo». Per ultimo discute dell'aumento delle truppe in Iraq. Comunica che quelle Usa, già portate da 135 mila a 140 mila uomini, saliranno a 145 mila con l'invio di 5 mila marines.
Fa capire - ma è inascoltato - che la Nato dovrebbe assumere il controllo della regione affidata alla Polonia.
E' probabile, invece, che Bush ottenga dagli alleati notevoli contributi economici e politici. Su questi piani, l'Ue assume l'iniziativa. In un rapporto ai ministri degli Esteri dei 25 che si riuniranno lunedì, l’Unione Europea traccia una strategia in tre fasi: il sostegno al passaggio dei poteri a Bagdad, in particolare alle libere elezioni di dicembre; la partecipazione alla ricostruzione dell'Iraq nel periodo seguente; la firma di accordi di cooperazione e commerciali. E' un segnale chiaro: l'Ue vuole affiancarsi agli Usa in «un impegno crescente a medio termine», dice il commissario Chris Patten, e non appena opportuno aprirà una missione in Iraq «per reintegrare il Paese nella comunità internazionale», sottolinea Javier Solana.
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