Da La Repubblica del 05/06/2004

I registi del 4 giugno hanno "giocato" a chiudere Roma attorno al presidente americano e al suo corteo

"Fuori Bush dalla zona rossa" il wargame dei Disobbedienti

L´allarmismo del premier si è rivelato infondato e solo provocatorio
La partita che le frange più radicali del movimento hanno condotto è un´altra

di Giuseppe D'Avanzo

IL NOSTRO stropicciato Paese, vien da dire, è meglio, molto meglio di come si autorappresenta. Mettiamo insieme le immagini essenziali di un giorno che doveva impensierire. Addirittura angosciare. Il presidente degli Stati Uniti George W. Bush affronta la sua agenda di lavoro con la stessa serenità che lo accompagna a Washington. Incontra il capo dello Stato al Quirinale e il Papa in Vaticano.

Rende omaggio ai Martiri delle Fosse Ardeatine. Cena con il presidente del Consiglio a Villa Madama. Il corteo presidenziale di quaranta auto attraversa una capitale quieta che ha ridotto all´essenziale gli spostamenti, e quindi il traffico.

Chi ha voluto esprimere dissenso per le scelte dell´amministrazione americana lo ha fatto e - con spirito di amicizia per quel popolo americano che, sessant´anni fa, ci aiutò a cancellare l´imperio del nazi-fascismo - ha esposto le bandiere arcobaleno ai balconi. Chi ha voluto più rumorosamente far sentire al presidente Bush le critiche per la guerra irachena lo ha fatto attraversando Roma con civiltà, dall´Esedra a Porta San Paolo, tra balli e canti allegri. Come accade in una democrazia in salute, ognuno ha potuto, nel rispetto dell´altro, manifestare la sua opinione o il suo dissenso. Senza violenze e aggressività, ma con una macchia. Quel grido «10, 100, 1000 Nassiriya», che ripetutamente si è levato nel corteo guidato dai Cobas (più o meno duecento, e soltanto un decina lo hanno gridato), è una vergogna che converrà non dimenticare. E´ un disonore che impone a tutti i protagonisti del dibattito pubblico di governare con prudenza le parole di una polemica politica spesso aspra perché quelle parole, udite dall´imbecille, lo spingono all´irresponsabilità e al cinismo. Non è comunque in quello slogan sconcio e scandaloso il senso di questa buona giornata per la democrazia. Si attendevano scontri, violenze, aggressioni. C´era chi si augurava un nuova Genova 2001 e assalti alle banche, devastazioni, roghi e pestaggi. Lo stesso presidente del Consiglio si era presentato giovedì in pubblico per dirsi «preoccupato delle possibile violenze» perché in possesso di «notizie che non lasciano tranquilli». Con evidenza, per le sorti elettorali del premier c´era da trarre un vantaggio politico dalla violenza. Vanno registrate oggi la mossa fuori misura e malaccorta del capo del governo. E´ stato lasciato solo con in mano il cerino di un allarmismo che, alla prova dei fatti, si è rivelato ingiustificato e, alla fine, soltanto irresponsabilmente provocatorio.

Si temevano i Disobbedienti, gli Antagonisti, i Vestiti di nero. La partita che le frange più radicali del movimento hanno deciso di giocare è stata di altra natura. Quasi del tutto simbolica e finalmente matura, quella dei Disobbedienti. Venuti da Trieste, Udine, Venezia, Padova, Napoli, Torino, Milano, Firenze - non grandi numeri, tremila? - hanno voluto questa volta ribaltare il gioco delle parti. Un po´ dovunque, gli uomini della sicurezza impongono loro una Zona Rossa, un´area impraticabile, imprendibile, intoccabile. Per l´occasione, i Disobbedienti hanno voluto, loro, creare a George W. Bush una Zona Rossa chiudendo intorno al presidente degli Stati Uniti la città. Bloccandola, qui e lì. Intasando le grandi arterie del traffico. È accaduto lungo la Cristoforo Colombo e all´Appia, alla Tiburtina, lungo la Tangenziale Est. Blocchi stradali rapidi e "compassionevoli". Se insistevi, se mostravi un´urgenza (il figlio in ospedale, un impegno improrogabile...), il Disobbediente ti faceva largo urlando - vai! vai! - e ti accompagnava al di là del blocco.

La «strategia del blocco», come con pompa l´ha chiamata qualcuno, è apparsa soprattutto un gioco simbolico. È come un gioco può essere raccontato anche l´episodio forse più cruento della giornata. Il corteo dei Disobbedienti sfila lungo viale delle Scienze. In fondo c´è il magniloquente ingresso dell´università "La Sapienza". Poco prima, dall´altra parte della strada, c´è la "Scuola di Guerra Aerea". L´edificio ha, tranne che per una finestra, le tapparelle abbassate. Non è presidiato o protetto e non si vede una divisa nel raggio di centinaia di metri. Qualcuno dal terrazzo scatta fotografie ricordo (o è un poliziotto?). Un decina di ragazzi, vestiti di nero, hanno il passamontagna calato sul volto. Trascinano un troller rosso con dentro razzi da festa di paese, da notte di capodanno. Sono pericolosi, rumorosi e lasciano una scia di fumo colorato. Va ora in scena "il gioco della guerra". I "neri" lanciano i loro botti contro la Scuola di Guerra. La scena non è gradevole, ma appare innocua. Bilancio: un vetro rotto. L´unico funzionario di polizia presente guarda, controlla, lascia fare. Imperturbabile.

Ancora un gioco che mima la violenza, senza praticarla, lo si avvista qualche chilometro dopo. In via Napoleone III c´è una casa occupata da estremisti di destra. «Casa Pound». Gli occupanti sono asserragliati all´interno. Anche loro hanno il viso coperto da passamontagna, come quelli che stanno sotto in strada, e sventolano bandiere con le croci celtiche. "Una provocazione" gridano i Disobbedienti. Ora si accalcano sotto quelle finestre, ma quel che ne viene fuori è un "faccia a faccia" degno dello stadio, un confronto tra ultras, tra curve. Vieni su! Scendi giù! Ti rompo la testa! Ti stacco le orecchie! Ogni gruppo con i suoi slogan e sostenuto dalla "sua" musica. Si va avanti per trenta minuti, poi i «padovani» si portano tutti via ché la faccenda è diventata noiosa. Gli Antagonisti se ne stanno buoni, e anche i Vestiti di nero. Attendono che venga il momento per salire alla ribalta. Lo intravedono nei pressi di piazza Venezia. Intorno all´Altare della Patria. C´è il Reparto Celere schierato. In sei si buttano avanti. Sputano sui poliziotti. Gettano due petardi. Lanciano due mazze di ferro. I "celerini" non si muovono. Si muove una pattuglia di Disobbedienti. Sorpresa, non contro la polizia, ma contro quei sei. Quelle sei "teste matte" se la vendono brutta. Sono circondate, e giù botte. «Così chi è qui per "far casino" cambia idea...», dice un veneziano grosso assai.

Ecco, se si aggiungono i calci ai tornelli del metrò di Re di Roma, la vernice rossa contro un´agenzia della Banca di Roma, i cassonetti rovesciati in viale Manzoni e quelli dati alle fiamme (due) in via Cavour, questo è il taccuino delle violenze alle dieci e mezzo della notte. Come non dar ragione, una volta tanto, a Francesco Caruso? Il no global venuto da Napoli se ne va in giro con la faccia furba e divertita e dice: «Gli uccelli del malaugurio, le ciucciuettole, oggi volevano seppellire il movimento. Peccato per loro. Devono essere rimasti delusi...».

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