Da Corriere della Sera del 25/05/2004

Americani e inglesi chiedono all’Onu un anno

La bozza di risoluzione prevede un mandato rinnovabile per la forza multinazionale. Il Pentagono vuol tenere il comando

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Se James Cunningham, l'ambasciatore Usa al Palazzo di Vetro di New York, manterrà la parola - «siamo disposti a migliorarla» - la bozza di risoluzione sull’Iraq in 22 paragrafi potrà segnare l'inizio della svolta. Dopo mesi di consultazioni, America e Gran Bretagna l’hanno ieri presentata al Consiglio di Sicurezza, a porte chiuse, precisando che la porranno ai voti tra una o due settimane, quando Lakhdar Brahimi annuncerà «un governo sovrano a interim per il 30 giugno» come sottolinea il testo «con la responsabilità e il potere di gestire l'Iraq sovrano». La bozza rappresenta un passo avanti rispetto alla risoluzione 1511 di ottobre che consentì all'America di entrare in guerra. Sancisce «la fine dell’occupazione e dell'autorità della coalizione», e dà a Bagdad una voce anche nelle questioni più delicate, la sicurezza e il petrolio. Ma lascia da chiarire alcuni punti controversi che potrebbero venire negoziati personalmente da Bush, al G8 l'8-10 giugno, se in quella data l'Onu non avesse raggiunto l'unanimità.

La bozza arriva al Palazzo di Vetro 10 ore prima che il presidente Usa tenga un discorso alla tv alla nazione sull’Iraq. Non conferma solo il passaggio dei poteri e le libere elezioni per un altro governo entro il gennaio 2005, ribadisce anche la permanenza della forza multinazionale (Mnf) ma «con il consenso iracheno, con una scadenza di un anno, rinnovabile». Gli americani non sono disposti a lasciare ad altri il comando della forza. La Mnf avrà al suo interno una entità distinta per la protezione del personale dell'Onu. Si stabilisce «una partnership per coordinare le operazioni» tra la Mnf e il governo di Bagdad. Sono concessioni significative anche se parziali, come quella che restituisce agli iracheni la gestione del petrolio, sebbene sotto la sorveglianza di un gruppo internazionale. Concessioni costellate da ripetuti appelli ai Paesi membri del Consiglio di Sicurezza e alle «Istituzioni internazionali e regionali» - ossia Nato e Paesi arabi - a fornire aiuti e soldati al nuovo Iraq. E dagli inviti all'Onu «a collaborare alla convocazione di una Conferenza nazionale per un'Assemblea costituente».

Un confronto tra angloamericani da una parte e Russia, Francia e Germania dall'altra è però inevitabile sui problemi più scottanti. Due esempi. La forza multinazionale conserva l'autorità «a prendere tutte le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza compresa la prevenzione del terrorismo», cosa che potrebbe scontrarsi con la richiesta irachena di non partecipare a certe operazioni o di bloccarne certe altre. Il suo mandato di un anno, inoltre, può essere «riesaminato» dal governo di Bagdad, ma la Mnf non avrebbe l'obbligo di ritirarsi (occorrerebbe una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dove Washington e Londra hanno diritto di veto). Sul primo punto i britannici prospettano un compromesso: uno scambio di lettere, da compiersi prima del voto all'Onu, che darebbe al governo iracheno il veto sulle operazioni della forza multinazionale: «C'è già una intesa in merito», ha detto un funzionario. Per quanto riguarda la seconda clausola, i critici di Bush cercheranno di limitarla ai prossimi 7-8 mesi, fino alle elezioni di gennaio in Iraq: dopo, caldeggerebbero un graduale ritiro.

Non a caso, il ministro degli Esteri Jack Straw prevede «lunghi negoziati» e non esclude di dovere ripiegare sulla risoluzione 1511. Ma molti membri del Consiglio di Sicurezza si dimostrano disponibili: «E' un nuovo inizio, una buona base di discussione», osserva l'ambasciatore tedesco Gunter Pleuger. «Non prevedo gravi controversie, anche se vi sono da rivedere alcuni punti» aggiunge l'ambasciatore del Cile Heralmo Munoz. Molto dipenderà dalla formazione del nuovo governo e dal rapporto di Brahimi, fa sapere il Pakistan, presidente di turno del Consiglio. Brahimi sta concludendo le consultazioni con 400 leader politici a Bagdad: il nodo è come dividere le cariche cruciali, presidente, due vicepresidenti e premier, tra curdi, sciiti e sunniti.

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