Da Corriere della Sera del 26/04/2004

"La pazienza del guerriero"

di Gianni Riotta

NEW YORK - La veglia d’armi a Falluja e Najaf simbolizza l’impasse militare e politica in Iraq. Falluja, centro della rivolta sunnita, e Najaf, città santa degli sciiti dove si è asserragliato l’ayatollah ribelle Moqtada al Sadr, mettono alla prova la strategia del presidente George W. Bush in vista del passaggio di poteri con le autorità irachene il 30 di giugno. Far prevalere la forza, come suggerisce un ufficiale dei marines «e trascinare nella polvere 'sto al Sadr», o prestare attenzione al generale Mark Kimmitt, portavoce della coalizione che consiglia «la pazienza del guerriero» per non cadere nella trappola dei duemila guerriglieri di Falluja? Il governatore Paul Bremer e il generale Ricardo Sanchez hanno fatto ricognizione al fronte. Dalla città provano a uscire famiglie innocenti e tra di loro si nascondono rivoltosi. Altri civili cercano di rientrare, malgrado l’assedio. Bremer e Sanchez fanno rapporto a Bush, in weekend a Camp David. Attaccare significa rischiare centinaia di morti tra gli abitanti, perché i cecchini sunniti sono nascosti nei caseggiati, sui viali oltre l’Eufrate.

Forzare la mano, a Falluja e a Najaf, significa alienarsi quel che resta di favore degli iracheni.

Se però il più potente esercito della storia viene bloccato da miliziani sciiti armati di mitra AK 47 e ribelli sunniti che dispongono di mortai, lanciarazzi e improvvisano i loro IED, le bombe casalinghe, collegando l’ammortizzatore di un’utilitaria con l'esplosivo («un lavoro geniale» commenta ammirato un marine) è, se non la sconfitta, lo stallo umiliante. Attaccare, o controllare Falluja e Najaf con la trattativa per far entrare nei centri abitati pattuglie della coalizione: non si può attendere troppo. Bush lo sa. L'inviato delle Nazioni Unite, Lakhdar Brahimi, si limita ad ammonire «Fate molta attenzione con Falluja» e «ricordatevi della storia antica di Najaf», consigli di buon senso che poco mutano sul campo. Snobbata per mesi dall'amministrazione Bush, l'Onu gioca di rimessa, aspetta il 30 giugno, ma non di più. La trattativa resta affidata a Hajim al Hassani, del Partito islamico iracheno e all'ambiguo sindaco di Falluja, Mahmoud Ibrahim, che non ha nessun controllo su almeno tre rioni, Jolan, Hayal Askery, Shuhada. La nevrotica situazione costa sangue ai soldati Usa e ai civili.

Si sta combattendo una doppia guerra civile. Gli iracheni provano a conquistare posizioni di forza in vista del 30 giugno. I ribelli sunniti fanno braccio di ferro a Falluja per dimostrare che il Consiglio provvisorio di Ahmed Chalabi, Adnan Pachachi e degli altri ministri è solo il fantoccio del Pentagono, senza seguito in Iraq. L'identità sunnita, questo il messaggio delle milizie, viene da Saddam Hussein ed è garantita dalla canna del fucile contro la maggioranza sciita e le zone franche dei curdi.

Il giovane e violento Moqtada al Sadr replica alla comunità sciita, da sempre oppressa e povera: senza di me, il tradizionale attendismo dell'ayatollah moderato Ali al Sistani vi lascerà in balia dei sunniti.

Oltre le barricate che oppongono ribelli e coalizione, si accende la guerra segreta per il controllo su Bagdad, quando gli americani venissero convinti, o costretti, a ritirarsi.

La seconda guerra di posizione si combatte però a Washington, tra i repubblicani e l'opposizione democratica di John Kerry e fra gli stessi compagni di partito del presidente Bush. Che fare? Ieri il columnist del New York Times Tom Friedman, da principio non ostile alla guerra, ha definito «negligenti in modo criminale» i piani del Pentagono per il dopoguerra. E a Venezia, gli esperti del Consiglio Italia-Stati Uniti hanno esaminato la situazione preoccupati.

L'influente senatore repubblicano Chuck Hagel e l'ex ministro dei presidenti Ford e Bush padre, Carla Hills, hanno lasciato trapelare forti perplessità sul futuro. Contro i neoconservatori, gli intellettuali di destra ideologi dell'attacco a Saddam, toni forti, «sono degli str..», mentre il ministro della Difesa Rumsfeld si becca un «asino!» per le polemiche con gli europei. Certo, sia Hagel che la Hills hanno criticato gli europei per non avere dato una mano all'Onu ai moderati, come il segretario di Stato Colin Powell, ma si vorrebbe dall'amministrazione una svolta, un piano. La strada sembra invece obbligata. Provare a liberare Falluja e Najaf dai ribelli, senza stragi, lasciare che Brahimi formi un governo iracheno, sia pure cosmetico, riavviare l'economia per raccogliere qualche consenso, osserva il professor Yitzhak Nakash. Bush o Kerry alla Casa Bianca potranno poco di più, mentre appaiono le prime foto delle bare con le stelle e strisce che tornano a casa e i feriti soffrono in corsia negli ospedali militari. Perfino B.D., personaggio del popolarissimo fumetto Doonesbury , ha perso la gamba combattendo in Iraq: il suo disegnatore, Garry Trudeau, ha choccato i lettori per richiamarli alla brutalità della guerra. Un sondaggio Washington Post-Abc conteggia il 51% degli americani in favore di Bush, contro Kerry, a proposito di Iraq. Bene per il presidente, ma meno bene del 70% di consensi un anno fa e con il 54% che osserva: Bush va meglio di Kerry, ma anche lui non sa che fare a Bagdad. Opinione pubblica incerta, rassegnata e in attesa. Mentre Falluja e Najaf restano sospese tra attacco e tregua, Bremer chiede ai ministri Chalabi e Pachachi di stanziare 60 milioni in opere pubbliche per le città ribelli. Troppo poco, forse troppo tardi.

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