Da La Repubblica del 15/12/2003
Originale su http://www.repubblica.it/2003/l/sezioni/esteri/irag11/valli/valli.html

Commento

La cattura del raìs che chiude la guerra

di Bernardo Valli

IL Saddam Hussein catturato dagli americani, guidati dai miliziani curdi, era un barbone rintanato in un buco, degno di una talpa non di un raìs, scavato in una fattoria del borgo natale, tra gli odori rassicuranti dell'infanzia. Il solo rifugio di cui si è fidato. Il più ovvio. Scontato. Tra la sua gente, la sua tribù. Che probabilmente l'ha tradito per intascare la taglia di venticinque milioni di dollari, o perché era diventato un fastidio, un peso.

Il Saddam che abbiamo visto nelle ultime ore era un vecchio smarrito, spaurito, con gli occhi sgranati. L'hanno sorpreso abbracciato a una borsa gonfia di denaro. Quel che gli restava del bottino di trentacinque anni di potere. Il tenente generale Ricardo Sanchez, che lo ha visto subito dopo, lo ha descritto "stanco e rassegnato". Un poveraccio disposto a collaborare. Il medico che doveva controllare le sue condizioni fisiche gli ha messo le dita tra i denti e gli ha aperto la bocca come a un cavallo mansueto. Il barbiere che gli ha tagliato la barba grigia e giallastra l'ha tosato come un vitello. Non si è sparato un solo colpo di fucile durante la cattura. Sembra addirittura che il battagliero, spietato raìs di un tempo avesse l'aria sollevata quando ha visto gli americani.

Saddam Hussein sorprende sempre. A Bagdad, in aprile, mi aspettavo di vederlo alla testa delle sue truppe, nell'ultima difesa della capitale, come aveva promesso. L'idea di assistere alla fine di un dittatore, al potere da più di trent'anni, mi aveva attirato in Iraq. Non capitano spesso fatti del genere. Quando capitano restano nella storia. Il palcoscenico era grandioso: Bagdad, la città dei califfi, delle Mille e una Notte, cara alle memorie arabe, e assediata nel XXI secolo da un esercito di infedeli. Tutti pensavano che Saddam, il protagonista, avrebbe venduto cara la pelle.

È un dittatore spietato, un despota sanguinario, dicevamo, ma ha coraggio da vendere. Invece è sparito con i dollari della Banca dell'Iraq. È un vigliacco, hanno allora sostenuto i suoi delusi partigiani iracheni, ed anche i suoi nemici, sempre iracheni, però con voce tremante, quasi sussurrando le parole, come se temessero che lui potesse ascoltare e spuntare all'improvviso da terra. Fin che non lo vediamo morto, non ci fidiamo, spiegavano. Poi, quando è cominciata la guerriglia, tutti hanno pensato che fosse lui ad animarla e a dirigerla.

Saddam non aveva dunque mollato. Anche coloro che lo detestavano, ed erano in molti, ricominciarono a temerlo, e ripresero a pronunciarne il nome con un misto di rispetto e di paura. Nemmeno gli americani erano riusciti ad abbatterlo. Lui continuava la guerra dalla clandestinità. Chi poteva dubitarne? I morti americani quotidiani, e le stragi dei loro alleati, italiani e spagnoli, ne erano la prova. Nell'intero mondo arabo, da Casablanca al Cairo, a Damasco, il dittatore brutale che pochi avrebbero voluto come raìs, è cosi ridiventato l'uomo che teneva testa alla superpotenza.

Il guerriero inafferrabile che continuava la lotta, e che sollecitava un certo orgoglio arabo. Non un campione amato. Piuttosto subito. Saddam era un assassino con la sua gente. Ma diventava un eroe quando sfidava i potenti della terra, che assediavano o occupavano Bagdad, la città del mito, della leggenda. A volte gli eroi vengono imposti. Agli arabi capita spesso.
Le immagini del barbone catturato ad Adwar, a quindici chilometri da Tikrit, hanno provocato un trauma psicologico enorme. Non solo in Iraq.

Una profonda delusione. Quasi un tradimento per gli arabi irrimediabilmente affezionati alle sue imprese. Il raìs crudele ma intrepido era ridotto a un poveraccio dall'aria smarrita. Quel vecchio che appare in modo ossessivo su tutte le televisioni, dal Marocco al Kuwait, assomiglia più a un mendicante che al capo di una guerriglia. Come poteva del resto animarla da quel buco scavato in una casa di campagna, con un tubo in bocca per respirare? Un'automobile l'aspettava, si dice, vicino alla fattoria: ed è probabile che egli si spostasse ogni giorno, o anche più volte al giorno, da un nascondiglio all'altro. Ma le immagini che ci vengono offerte sono quelle di un uomo braccato, in preda alla paura, non quelle di un comandante che dirige una vasta azione clandestina contro una coalizione di eserciti moderni. I dirigenti iracheni che l'hanno visto e interrogato dopo la cattura sostengono che non dà segni di pentimento, che respinge le accuse di genocidio e difende i suoi trent'anni di governo. Ma che lo fa con toni rassegnati. Dimessi.

Saddam sorprende sempre. Nel '91, durante la prima guerra tra Iraq e Stati Uniti, promise "la madre di tutte le battaglie" che non avvenne mai. Dodici anni dopo ha promesso la battaglia di Bagdad. Un altro bluff. Adesso rispunta fuori come un barbone. I dittatori hanno di solito destini peggiori. La sua ricomparsa è stata incruenta ma spettacolare. Essa scioglie anzitutto un mistero e distrugge un mito. Mette fine anche a un incubo. Saddam non è morto, come alcuni credevano, ma non sembra neanche il capo della resistenza che colpisce puntualmente gli americani e i loro alleati. Per George W. Bush la sua cattura è una vera vittoria. Quella d'aprile era incompleta. La latitanza di Saddam, dopo quella Osama bin Laden, era un'ulteriore beffa. Se il raìs non è abbattuto, per gli arabi non c'è una vera sconfitta. Il presidente americano lo sentiva. Lo sentivano i suoi soldati in Iraq. Era umiliante non poterlo catturare. Adesso il successo è (quasi) completo. Non è soltanto uno splendido regalo di Natale. È molto di più. Saddam in ceppi può favorire un secondo mandato alla Casa Bianca. Nell'approssimativa civiltà delle immagini,

Saddam può sembrare a molti elettori il responsabile dell'11 settembre. L'America è infine vendicata. La cattura di Saddam significa la vera fine della guerra (anche se non della guerriglia). Saddam non aveva mai firmato la resa. Una formalità superflua, certo, ma non del tutto inutile: la sua aria tramortita, il suo sguardo rassegnato al momento dell'arresto, sabato sera, equivalevano ampiamente a una capitolazione.
Neppure l'Europa scettica può evitare di rallegrarsi per la cattura del dittatore, colpevole di crimini contro l'umanità. E' un'Europa che paga con profonde divisioni interne (apparse platealmente anche nelle ultime ore al fallito vertice di Bruxelles, benché fosse all'ordine del giorno un tema specifico come la nuova Costituzione) il diverso e tormentato atteggiamento di fronte alla guerra preventiva americana. I Paesi che si sono opposti aspettano ancora le prove dell'esistenza di armi di distruzione di massa in possesso di Saddam a della dalla sua complicità con Al Qaeda: ma nell'attesa non possono che accogliere con soddisfazione la conclusione del solo aspetto positivo del conflitto: la fine di un regime orrendo, e adesso la cattura del suo capo. Il quale sarà processato con tutta probabilità in Iraq. Non accettando il Tribunale internazionale, al quale non vogliono riconoscere il diritto di giudicare le loro azioni militari nel mondo, non si vede infatti come gli Stati Uniti possano ricorrere a quella giurisdizione sovrannazionale.

Quindi Saddam non potrà rispondere dei crimini commessi che davanti a una corte del suo Paese. In quell'occasione non è escluso che riveli quel che Bush e Blair non sono riusciti a provare. Nell'attesa l'Europa intera non può tuttavia che accogliere con soddisfazione la cattura di Saddam e di conseguenza il successo di Bush.

Il presidente americano può adesso dichiarare sul serio che la guerra è finita. L'incubo di Saddam non opprime più gli iracheni. Quel vecchio schiantato da sette mesi di clandestinità non è più un raìs. È la sua ombra. Anche se al processo potrà avere impennate d'orgoglio. L'impatto psicologico della sua cattura è senz'altro profondo. Può attenuare l'ostilità nei confronti delle truppe di occupazione. Può farle apparire forze di liberazione, poiché sono infine riuscite a neutralizzare il dittatore.

Questo conferisce prestigio. Ma se è finita la guerra, e con essa l'incubo Saddam, è finita anche la guerriglia? Il barbone catturato nel buco di Adwar, vicino a Tikrit, era il capo della resistenza che si esprime col terrorismo o con azioni armate? O non era piuttosto un uomo in fuga, protetto dalla sua tribù, ma privo di una vera organizzazione?

Non sono interrogativi retorici. La cattura di Saddam era indispensabile. Ma potrebbe essere stato l'atto finale di qualcosa che ormai appartiene al passato. Il vecchio stralunato, tirato fuori dalla tana, perché venduto dai suoi, stanchi di lui, apparteneva probabilmente a una realtà superata. Non pochi, tra gli esperti, pensano che la guerriglia sia animata da forze irachene organizzatesi dopo la fine del regime, o addirittura infiltratesi nel Paese in seguito all'occupazione americana.

Saddam potrebbe insomma essere un relitto, altamente simbolico. La verità non dovrebbe tardare.

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