Da Corriere della Sera del 07/08/2003

I detenuti si impegnano «a evitare atti ostili contro lo Stato ebraico»

Israele libera 330 palestinesi Il premier Abbas: «Non basta»

Fermati e rilasciati pacifisti italiani in visita ad Arafat

di Renzo Cianfanelli

GERUSALEMME - Sono usciti a testa alta dalle loro celle facendo con le dita il gesto della vittoria reso famoso da Churchill e adottato dai prigionieri politici di ogni parte del mondo, si sono congedati dai carcerieri con una stretta di mano, dopo aver firmato un foglio con la dichiarazione: «Mi impegno ad astenermi da qualunque attività ostile verso lo Stato ebraico». Poi, prima di salire sulla carovana di autobus scortati dalle camionette delle truppe israeliane, hanno baciato la polverosa terra palestinese in mezzo alle acclamazioni di una folla commossa.

Come il documento firmato dal primo gruppo degli oltre 330 prigionieri palestinesi liberati ieri, anche la «mappa della pace» disegnata dagli americani nella speranza di arrivare entro il 2005 a uno Stato palestinese e a una pace stabile per Israele, rimane per ora un foglio di carta, depositato in mezzo a un deserto di ambigue intenzioni e contrastanti promesse. Come già nei Balcani e nell'Irlanda del Nord, anche il Medio Oriente si rende conto che una tregua costruita sull'esaurirsi della carica di distruzione reciproca non è sufficiente per costruire la pace.

Così anche ieri, mentre il primo ministro israeliano Ariel Sharon cercava di persuadere la propria opinione pubblica che la liberazione dei soli detenuti palestinesi già arrestati per incitazione alla violenza («non hanno le mani sporche di sangue») rappresenta il primo passo verso la pace e non mette in pericolo la sicurezza dello stato ebraico, dai dirigenti palestinesi tale liberazione è vista come un gesto di mera propaganda.

«Il rilascio di un numero irrisorio di prigionieri è puro teatro - insiste il ministro dell'Autorità provvisoria palestinese Yasser Abed Rabbo -. Si tratta di una mossa che ha il solo fine di fare colpo su Washington». Secondo i palestinesi, a partire dal 29 giugno data di entrata in vigore della «hudna», la tregua temporanea degli attacchi terroristici contro Israele proclamata da Hamas e dalla Jihad Islamica, le forze israeliane avrebbero incarcerato un numero di militanti islamici, o presunti tali, quasi pari a quello dei detenuti rimessi in libertà, con 320 nuovi arresti contro 339 liberazioni annunciate.

Il governo si smentisce, citando le cifre ufficiali del ministero della Difesa che parlano invece di 146 nuovi arresti dopo la tregua, ma senza tenere conto dei palestinesi arrestati e poi rilasciati. Più importante di queste polemiche è però il fatto che il premier Mahmoud Abbas stia già minacciando di cancellare il prossimo incontro con Sharon, a meno che la «mappa» non porti nel vicino futuro alla liberazione di tutti i 6000 palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane.

Scarso significato assume, in questo contesto di interpretazioni della tregua del tutto difformi, anche la dichiarazione di non belligeranza fatta firmare da Israele ai prigionieri appena tornati liberi. «Io - ha dichiarato subito dopo il rilascio e la firma del documento israeliano Hamad al-Smairi, uno dei militanti usciti ieri dal carcere - sono un soldato della Jihad Islamica e, come tale, rispondo solo degli ordini che ricevo da questa organizzazione di lotta armata per la liberazione del popolo palestinese».

A rendere malsicura la «mappa della pace» contribuisce inoltre, sull'opposto versante, l'atteggiamento della destra israeliana e delle famiglie delle vittime del terrorismo, che contestano con forza la decisione di Sharon di liberare i militanti palestinesi e che ieri, mentre a Betunia veniva rilasciato un gruppo di detenuti, hanno tentato di assalire un convoglio appena uscito dal carcere. Anche Yasser Arafat, in un'intervista al quotidiano israeliano Haaretz , è intervenuto nella polemica accusando Israele di frode e malafede. E' da registrare, infine, nel quadro degli incidenti di ieri, l'arresto da parte delle forze di sicurezza israeliane di un gruppo di pacifisti italiani che si erano recati a Ramallah, in territorio palestinese, per manifestare la loro solidarietà verso Arafat. Ma l'episodio è stato rapidamente chiarito e i manifestanti, subito dopo le formalità di identificazione, sono stati rimessi in libertà e hanno raggiunto ieri la zona israeliana di Gerusalemme.

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