Da Corriere della Sera del 03/07/2003

Dall’ira alle scuse, il tormento del Cavaliere

Il «gelido» pranzo con Prodi, poi il discorso al Ppe: volevo rispondere a un insulto e invece è venuto fuori questo disastro

di Maria Latella

STRASBURGO - Gliel’avevano detto tutti: il presidente dell’europarlamento Pat Cox, il portavoce Bonaiuti, il consigliere diplomatico Castellaneta, l’ambasciatore Vattani: «Non accettare provocazioni». Ma Silvio Berlusconi non è cresciuto alla scuola della politica. Volendo restare nel recinto degli europarlamentari: Berlusconi non è un Giorgio Napolitano, svezzato nel Pci a latte e dogma: «Compagni, non accettiamo provocazioni». Non è nemmeno Rocco Buttiglione che, da filosofo prestato alla politica, avrebbe risposto a Schulz masticando lentamente il suo sigaro: «Gentile collega, lei non ha titolo per giudicarmi. Punto». Silvio Berlusconi è Silvio Berlusconi, uno che, capita l’antifona, l’accoglienza di quella che considera «la Casta» dei politici di professione, ha deciso di bypassare l’establishment, rivolgendosi direttamente ai consumatori della politica europea. Come faceva da imprenditore. Come ha fatto, da neo politico, in Italia. Ma l’Europa è un gioco duro e si vedrà, chi tra i duri, saprà giocarlo meglio. Alcuni sostengono che ieri Berlusconi non ha soltanto reagito a Schulz. Ha lanciato un messaggio: attenzione, prima o poi gli outsider come me, come George W. Bush, potrebbero piacere anche ai vostri elettori.

Un politico professionista com’è Gianfranco Fini, non la pensa così. Per lui, ieri, Berlusconi è caduto nella più classica delle provocazioni.

«Ma io sono stato insultato e ho cercato di reagire con ironia», si è difeso lui a caldo, ancora piuttosto furibondo. Un paio d’ore dopo, invece, nel chiuso dell’aula Schumann dove incontrava gli europarlamentari del Ppe, ha lasciato affiorare tutto il suo dispiacere. La voce era quasi accorata, con il timbro ben noto ai familiari o ai suoi collaboratori più intimi nelle rare volte in cui gli capita di ammettere di essere andato ben oltre le intenzioni: «Non volevo violare la sensibilità di un popolo - dice ai colleghi del Ppe che lo ascoltano pure loro per la prima volta un po’ preoccupati -. Intendevo rispondere a un insulto. Invece è venuto fuori questo disastro». Pensa alla Germania, sa di dover frenare una deriva pericolosa: siamo già alla reciproca convocazione degli ambasciatori, il nostro a Berlino e Klaus Neubert alla Farnesina. Già il livello di tensione è alto, e qualcosa si rischia pure con la Francia, perché, parlando a cuore aperto con quelli del Ppe, Berlusconi dice che Chirac vuole un’Europa antitetica agli Usa. «Non l’ho mai sentito» replica secco un popolare francese. Un altro, Jean Louis Bourlange, si rivolge a Berlusconi con fare paterno: «Presidente, lei ha scherzato sull’Olocausto. Non si scherza su queste cose, De Gasperi, Schumann, Adenauer non scherzavano. Pronunci parole d’umiltà, c’è grandezza nel riconoscere d’aver sbagliato». Il premier gli darà ascolto. Ma quanto dev’essergli costato.

D’altra parte, anche se le apparenze e le premesse non lo lasciavano presagire, era girata male, per lui, sin dall’inizio. Sin dalla notte precedente, a dire la verità. Nella suite dell’hotel Hilton di Strasburgo, dove la delegazione italiana aveva preso alloggio, lui e Gianfranco Fini affrontano fino a mezzanotte inoltrata le questioni che inquietano il leader di An. «C’è maretta, molta maretta», confida quest’ultimo ai suoi.

La notte di martedì, insomma, Berlusconi non va a dormire sereno come un pupo. Al mattino, insieme allo yogurt magro e al tè zuccherato, deve ingurgitare anche il resoconto di un’intervista di Bossi a «Radio Padania»: il senatur torna sull’immigrazione utilizzando concetti e lessico cari a Borghezio. Presentandosi nell’emiciclo del nuovo Parlamento europeo, Berlusconi appare teso. Cosa insolita per lui, gli capita perfino di incagliarsi su qualche parola. In compenso, l’annunciata contestazione si risolve in pochi secondi e lui è perfettamente puntuale. Prodi no, arriverà con dieci minuti di ritardo e anche Fini entrerà quando Berlusconi ha già cominciato a parlare.

Dai banchi del Ppe, nota un poco indignata l’eurodeputata di An Adriana Poli Bortone, latitano molti dei big europei. Il presidente del semestre che va a incominciare pare comunque pienamente calato nel ruolo e il suo discorso riceve apprezzamenti. Tutto sembra scorrere secondo programma. Invece...

Invece, torna a prendere la parola, per la replica. E succede quel che succede. Il primo a capire che le cose si stanno mettendo malissimo per Berlusconi e, di riflesso, per lui, è Gianfranco Fini. Prova a lanciargli qualche segnale, ma il Cavaliere non raccoglie. La faccia di Fini diventa antracite, più o meno come il vestito: dopo dieci anni di visite ad Auschwitz e contatti con la comunità ebraica di Roma, sta ancora aspettando l’invito ufficiale in Israele, e l’«ironica» evocazione berlusconiana del nazismo rischia di metterlo in imbarazzo. Il vicepremier segnala il disappunto, attraversa l’aula a passi ampi, si avvicina simbolicamente a Romano Prodi. Aspetta che Berlusconi concluda il suo autolesionistico intervento, poi torna e sussurra un concetto essenziale: «Hai sbagliato. Adesso ti conviene chiedere scusa».

Scusa? Macchè. Lasciando l’aula del Parlamento per la conferenza stampa con il presidente del Parlamento Pat Cox, già fissata da tempo, Silvio Berlusconi è ancora preda dell’ira funesta. Il momento è concitato e lui ha appena il tempo di confidare quanto si sia sentito ferito per le accuse rivoltegli dal capogruppo della Spd. Nemmeno si accorge della tensione e dell’imbarazzo che avvolge gli uomini e le donne della Farnesina, i componenti del suo entourage. Soltanto Fini ha avuto il coraggio di dirgli quello che pensa. Per non sbagliare, Prodi non parla con nessuno.

L’allegra, si fa per dire, comitiva si trasferisce alla colazione ufficiale. Doveva essere l’occasione per brindare al primo giorno di presidenza italiana. Sarà un pranzo da dimenticare. Prodi continua a ignorare Berlusconi e per non mettere in imbarazzo gli ospiti europei, da Pat Cox a Hans Poettering, tocca agli altri italiani, il capogruppo di Forza Italia Tajani, il sottosegretario agli Esteri Antonione, l’europarlamentare di An Cristiana Muscardini, tenere viva la conversazione. Alle povere quaglie, piatto forte del menù di Strasburgo, nessuno dedicherà la minima attenzione.

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di Ernesto Galli della Loggia su Corriere della Sera del 03/07/2003
 
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