Da Lettera 22 del 29/08/2006
Originale su http://www.lettera22.it/showart.php?id=5513&rubrica=101

Un cessate-il-fuoco per iniziare a sperare

All'alba di oggi entra in vigore l'accordo per la cessazione delle ostilità firmato dal governo di Kampala e il Lord's Resistance Army sabato scorso a Juba. Un passo importante sulla via, lunga e accidentata, della pace in Nord Uganda

di Irene Panozzo

Alba di un martedì di fine agosto. Un giorno che nasce come tutti gli altri, ma che come tutti gli altri non è. Alle 6 di questa mattina, 29 agosto, entrerà in vigore l’accordo per la cessazione delle ostilità tra il governo di Kampala e i ribelli nord-ugandesi del Lord’s Resistance Army, firmato sabato 26 a Juba, capitale del Sud Sudan. Un primo passo sulla via della pace in Nord Uganda, com’è stato definito dalle parti e dai mediatori del negoziato. Un passo importante, giunto a quasi vent’anni dall’inizio del conflitto, che però non significa ancora pace.

Le quattro pagine sottoscritte sabato davanti al vicepresidente del Sud Sudan, Riek Machar, gettano però le basi per quello che potrebbe venire in seguito. Assieme alle dichiarazioni dei due capi-delegazione, il ministro degli interni Ruhakana Rugunda per il governo e Martin Ojul per lo Lra, paiono infatti essere la dimostrazione dell’impegno di entrambe le parti a cercare di trovare un accordo per porre davvero fine al ventennale conflitto. Perché il nucleo di questo primo accordo e le interpretazioni che sono state fornite dai protagonisti di fatto riconoscono, pur senza nominarla mai apertamente, un’amnistia per i capi ribelli come base da cui ripartire per il prossimo giro di negoziati. A partire dal leader storico dello Lra, Joseph Kony, e dai suoi più fidati e potenti luogotenenti Vincent Otti, Okot Odhjambo e Dominic Ongwen, tutti con un mandato di cattura internazionale sulla testa, emesso un anno fa dal Tribunale penale internazionale (Tpi) dell’Aja (Raska Lukwiya, il quinto del gruppo ma terzo nella linea di comando dell’esercito ribelle, è stato ucciso due settimane fa a Kitgum). L’accordo di Juba prevede che ai ribelli siano concesse tre settimane per raggiungere liberamente due “punti di raccolta” in Sud Sudan. Uno sulla riva destra del Nilo, per chi proviene dall’Uganda o si trova già in Sudan meridionale, e l’altro sulla riva sinistra, per chi proviene dal parco di Garamba, nella Repubblica democratica del Congo, dove Kony e i suoi hanno trovato rifugio un anno fa dopo la decisione del Tpi. In questi luoghi il governo sud-sudanese garantirà ai ribelli dello Lra sicurezza e, se necessario, soccorso umanitario. Per chi si trova in Uganda ma troppo lontano dal confine sud-sudanese, saranno i luoghi di culto a poter fare da “santuario”. Passate le tre settimane, dice il testo firmato sabato, le parti rivedranno la situazione aggiornando l’accordo ogni quindici giorni.

Tutto dipende quindi da come andrà questa prima fase. I toni usati negli ultimi giorni lasciano ben sperare. Lo dicono le parole dette domenica ai giornalisti riuniti a Kampala dal ministro Rugunda, secondo cui “nonostante un avvio difficile, c’è da entrambe le parti una volontà senza precedenti di raggiungere la pace. Ci aspettiamo”, ha continuato il capo-delegazione del governo, “che Kony e Otti si attengano alle condizioni del cessate-il-fuoco, che riguardano il Lord’s Resistance Army nella sua totalità”. Anche da parte ribelle i segnali sembrano buoni. E non solo perché Ojul ha accettato di firmare. Vincent Otti, il vice di Kony che solo qualche mese fa si era rifiutato di recarsi a Juba per i negoziati per timore di essere arrestato e consegnato al Tpi, domenica ha parlato ai suoi uomini dalle lunghezze di una radio di Gulu, assicurandoli sulla veridicità della versione fornita dal governo e chiedendo loro di rispettare i termini dell’accordo. “Non rapite la gente o rubate cibo. Se volete cibo chiedetelo alla comunità in cui vi trovate. Non commettete atrocità né imboscate durante il tragitto”, ha aggiunto anche, riferendosi al percorso da compiere per raggiungere, a piedi, i punti di raccolta in Sud Sudan.

Il clima di cauto ottimismo che sembra arrivare da Juba non significa che i sospetti siano spariti dall’oggi al domani. Sarebbe impossibile, dopo vent’anni di guerra. E non significa neanche che la strada che rimane da fare sia tutta in discesa, anzi. Nei prossimi round negoziali si dovrà cercare di trovare un compromesso su temi spinosi e potenzialmente esplosivi come la partecipazione dello Lra all’esercizio del potere, l’assimilazione dei ribelli nelle fila dell’esercito nazionale, la spartizione delle risorse, lo smantellamento dei campi profughi e la quasi totale autonomia che il rappresentante di Kony ha richiesto per il Nord Uganda.

Un campo minato, quindi, un percorso faticoso che potrebbe durare molto a lungo. E che governo e ribelli dovranno impegnarsi a percorrere evitando di far saltare i negoziati. La strada è appena cominciata.

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