Da La Repubblica del 29/09/2006

Le ronde dei camorristi "Vi difendiamo dai balordi"

Nel Casertano i clan sostituiscono lo Stato

Obiettivo gli sbandati che da Scampia si spingono fino all'agro aversano e i clandestini che provano il "colpo"

di Attilio Bolzoni

CASAL DI PRINCIPE (CASERTA) - Escono di notte. E stanno fuori sino all'alba, sorvegliano le piazze e le vie dei loro paesi. Fanno posti di blocco. E poi perquisiscono, interrogano quelli che fermano:

«Chi sei? Dove vai? Cosa fai a quest'ora per strada?».

Li mandano via o li massacrano di botte. Non hanno distintivo, non portano divise. Non sono poliziotti. Intorno a Casal di Principe, girano le ronde della camorra.

Qualcuno l'ha chiamata "campagna di sicurezza"; è partita a metà estate per ricordare alla popolazione chi comanda. Sono ancora loro: quelli del clan dei Casalesi. Garantiscono protezione contro furti e rapine, contro scippi e le razzie di quegli sbandati che da Scampia si spingono fino nell'agro aversano o di quei clandestini che di tanto in tanto provano il colpo disperato. Li hanno reclutati per presidiare il territorio, un apprendistato che prima o poi - sperano - li farà entrare nell'organizzazione degli eterni padroni di questo pezzo d'Italia: gli Schiavone.

Vanno in pattuglia a gruppi di sei o sette, due su una moto, due sulla seconda moto, gli altri sull'auto che segue a fari spenti a poche decine di metri. E si spostano veloci, tornano indietro, perlustrano, controllano.

Svolgono un servizio di ordine pubblico.

E' cominciato tutto in una notte di agosto a Casal di Principe, la Corleone della Campania. C'erano stati tre assalti in venti giorni in un ufficio postale di San Cipriano d'Aversa, sempre lo stesso. E tante altre rapine. E una raffica di furti in appartamento. Scorrerie. Così è montata la paura in quei tre o quattro paesi tutti uguali e malfatti, deformi, incastrati uno con l'altro dal cemento, tutti in fila, divisi solo da un incrocio o da un campo dove pascolano mandrie di bufale.

Una paura che non si era mai vista. Nonostante le statistiche rivelino che saccheggi e incursioni sono appena superiori a quelle dell'anno precedente, si è diffusa una psicosi, uno sgomento collettivo. «Prima ci sono state le veglie notturne degli abitanti, si davano il cambio notte dopo notte per far la vigilanza ai loro palazzi», racconta Lorenzo Diana, senatore per tre legislature e ora responsabile nazionale dei Ds per la lotta alle mafie. Cammina con la scorta per le vie di Aversa e spiega cosa è accaduto fino a Casapesenna. In centinaia restavano svegli per non farsi depredare. Nel quartiere di Montecorvino a San Cipriano, a Larina e fra i due cimiteri di Casal di Principe. E dopo qualche settimana sono arrivate quelle ronde.

Il primo a incontrarle è stato un albanese, uno dei tanti emigrati che si spaccano la schiena negli orti al confine fra le province di Napoli e Caserta. «E' venuto al pronto soccorso, mi ha detto che l'avevano aggredito dopo avergli fatto un sacco di domande», ricorda Renato Natale, il medico presidente del centro di volontariato che porta il nome di Jerry Masslo, rifugiato sudafricano ucciso una quindicina di anni fa a Villa Literno.

Nelle mani delle «guardie» di camorra sono finiti anche due rumeni. E poi tutti i forestieri passati per quei paesi nelle ore notturne.

Il solito posto di blocco, le solite domande indagatrici. E la «lezione» finale. E' capitato ad altri albanesi il 21 di settembre. Erano sospettati di avere rubato. Li hanno circondati alla periferia di Casal di Principe in quindici, verso le 3 del mattino. Li hanno picchiati e lasciati andare con un avvertimento: «Qui non si ruba, qui non dovete tornarci più». I carabinieri sono riusciti a prendere tre di quei quindici, erano su una Mercedes. Processati per direttissima, ieri l'altro sono stati scarcerati con l'obbligo di dimorare fuori dalla provincia di Caserta. Erano tutti e tre incensurati, tra i loro complici cercano anche un uomo che sarebbe parente degli Schiavone, i capi dei capi di Casal di Principe.

Sono tante le voci che girano sulle ronde e sulle loro scorribande. Ce n'è una che parla di una donna albanese torturata, appesa a testa in giù dai suoi aguzzini. E poi uccisa. Di corpi non ne sono stati ancora trovati, in un'intercettazione telefonica però si sono captate voci che alludono a un misterioso omicidio.

E' il coprifuoco di notte, il terrore non si sa più da che parte viene. Qualcuno dice che è la camorra a fomentare la paura, che sono gli stessi boss a seminare inquietudine per presentarsi poi come i soli capaci di riportare la tranquillità. Una «difesa» dei cittadini per far vedere a tutti che loro sono sempre più forti dello Stato. Quello che volevano l'hanno già avuto.

«Se sentiamo anche un piccolo rumore io non chiamo né il 112 né il 113 ma le ronde», ha risposto Giuseppe. «Lo fanno per la nostra tranquillità», ha risposto Vincenzo. «Polizia e carabinieri non ci danno fiducia come loro», ha risposto Antonio.

Ecco come pensano e cosa dicono gli studenti del liceo scientifico di San Cipriano d'Aversa. Al loro primo giorno di scuola, la lezione sulla legalità voluta dai ragazzi del centro don Peppino Diana - il parroco anticamorra ucciso nella sua chiesa di Casal di Principe il 19 marzo 1994 - si è trasformata in uno sconcertante sostegno alla caccia all'uomo dei camorristi.

Erano adolescenti delle terze, delle quarte e delle quinte. «Quegli alunni erano seduti in prima fila e hanno espresso idee molto diffuse nelle nostra zona, per fortuna altri non la pensano come loro e si sono molto indignati», spiega Marisa Diana, che in quel liceo insegna Lettere.

In questa Campania così lontana da Napoli e tanto diversa per la sua criminalità dai balordi dei Quartieri Spagnoli o da quei branchi che risalgono dai vicoli dalla Sanità, c'è anche una stampa che gioca sporco. Un foglio locale soffia sul fuoco dell'allarme sociale, fa improbabili scoop sulle «imprese» delle pattuglie camorristiche. «Si pilotano anche informazioni», dice Raffaele Cantone, il magistrato della procura antimafia di Napoli che indaga sui misfatti e gli affari del clan dei Casalesi. E aggiunge: «Quello delle ronde è un fenomeno inquietante, un po' di camorra che prova a riprendersi il consenso sociale e un po' di bulli che cercano di conquistare uno status criminale».

Era avvenuto qualcosa di simile già una quindicina di anni fa, nei paesi intorno ad Aversa. Un'altra caccia all'uomo. Uccidevano e poi con una telefonata rivendicavano i delitti alla maniera dei terroristi. Erano i Gad, gruppi antidroga si facevano chiamare. A Pescopagano, nell'aprile del 1990 fecero uno sterminio di nigeriani e tanzaniani. Cinque morti e sette feriti.

Spacciavano eroina. Ma senza il permesso dei boss.

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