Da Panorama del 26/09/2006
Originale su http://www.panorama.it/mondo/americhe/articolo/ix1-A020001038062

Bush in Iraq ha sbagliato tutto, parola di corrispondente militare

È il più pesante atto d'accusa mai scagliato contro l'amministrazione Bush. Il libro di Thomas Ricks, corrispondente dal Pentagono prima per il "Wall Street Journal" e poi per il "Washington Post", ha un titolo che non lascia spazio a dubbi: "Il grande fiasco" Sarà in libreria dal 28 settembre. Ecco l'anticipazione del primo capitolo.

di Thomas E. Ricks

La decisione del presidente George W. Bush di invadere l'Iraq nel 2003 in definitiva può essere ritenuta una delle azioni più sconsiderate nella storia della politica estera americana. Non si avrà un quadro chiaro delle conseguenze della sua scelta se non fra qualche decennio, ma già a metà del 2006 non vi è dubbio che il governo statunitense è entrato in guerra con l'Iraq contando su uno scarso appoggio internazionale e sulla base di informazioni inesatte (circa armi di distruzione di massa e un ipotetico legame tra Saddam Hussein e il terrorismo di Al Qaeda) per occupare irresponsabilmente il paese.

Migliaia di soldati statunitensi e un numero imprecisato di iracheni sono morti. Sono stati spesi centinaia di miliardi di dollari, in gran parte inutilmente sperperati. La democrazia potrebbe ancora instaurarsi in Iraq e nella regione, ma potrebbe ugualmente divampare una guerra civile o una conflagrazione regionale, che provocherebbero l'aumento del prezzo del petrolio innescando uno choc economico globale.

Il sottotitolo di questo libro definisce "avventura" l'impegno statunitense in Iraq in considerazione del fatto che l'invasione è stata condotta avventatamente, con un piano bellico carente e un approccio, se possibile, ancora peggiore all'occupazione. Spaventata dalle sue stesse false conclusioni circa la minaccia, l'amministrazione Bush ha fatto fretta alla propria diplomazia, ha cortocircuitato la pianificazione bellica e attuato un'occupazione con angosciante incapacità.

Nulla di tutto questo era inevitabile ed è stato reso possibile solo attraverso acrobazie intellettuali che accentuavano la minaccia costituita dall'Iraq, sottovalutando al contempo il costo e la difficoltà di occupare la nazione.

Come il governo statunitense abbia potuto iniziare una guerra preventiva sulla base di false premesse è il soggetto della prima, relativamente breve, parte di questo libro. La responsabilità va attribuita principalmente allo stesso presidente Bush, ma la sua incompetenza e la sua arroganza sono solo un tassello di questa storia.

Non sarebbe bastata una sola persona per creare un caos grande quanto l'Iraq. In altre parole, Bush poteva decidere un'azione così avventata perché una serie di fallimenti nel sistema americano l'ha messo in grado di farlo. Colossali errori si sono verificati all'interno della burocrazia della sicurezza nazionale, da un debole National security council a un arrogante Pentagono e a un confuso apparato d'intelligence.

Sviste ancora peggiori si sono registrate nel sistema politico, e soprattutto nel Congresso, e nell'incapacità dei media di trovare e presentare fonti d'informazione alternative sull'Iraq e sulla presunta minaccia che costituiva per gli Stati Uniti.

È una tragedia dove ogni importante attore ha contribuito con i suoi errori, ma in cui gli eroi tendono a essere anonimi e relativamente impotenti: il soldato americano in prima linea fa del suo meglio in una situazione difficile, il civile iracheno cerca di proteggere la famiglia in mezzo al caos e la violenza. Sono persone che pagano ogni giorno con il sangue e con le lacrime per i fallimenti degli alti ufficiali e di potenti istituzioni.

Anche il periodo di preparazione alla guerra è significativo perché è in esso che sono state poste le traballanti basi sulle quali si è sviluppata la traballante operazione di occupazione che ne è seguita e che costituisce il principale argomento del libro.

Mentre l'amministrazione Bush (soprattutto Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz e L. Paul Bremer III) è responsabile in gran parte della pessima gestione dell'occupazione nel 2003 e all'inizio del 2004, molte colpe sono da attribuire anche alla leadership militare statunitense, che non ha preparato l'esercito americano alla sfida che doveva affrontare e che poi ha sprecato un anno facendo ricorso a tattiche controproducenti, ignorando dilettantisticamente i principi basilari per contrastare i movimenti insurrezionali.

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