Da Il Manifesto del 15/09/2006

«Kabila cercò di uccidermi»

Il vicepresidente Bemba racconta la sua versione dei giorni di fuoco in Congo Kinshasa

di Stefano Liberti

Alla fine si sono incontrati. Dopo i tre giorni che hanno insanguinato Kinshasa, dal 20 al 23 agosto scorsi, i due contendenti per la presidenza della Repubblica democratica del Congo (Rdc) sono comparsi l'altroieri sera in televisione, l'uno accanto all'altro, col volto sorridente mentre si scambiavano un'energica stretta di mano: da una parte Joseph Kabila, l'attuale capo di stato che parte con un buon vantaggio per il ballotaggio del 29 ottobre (ha ottenuto il 44 % dei suffragi al primo turno); dall'altra Jean-Pierre Bemba, il vice-presidente che vorrebbe attrarre i voti degli scontenti per rafforzare il suo 20% e raggiungere la massima carica del paese. Da venticinque giorni i due non si parlavano. Le attività di governo erano bloccate. Kinshasa era avvolta in una sorta di bolla d'attesa. Alla fine, l'andirivieni frenetico di mediatori dall'estero - dal presidente sudafricano Thabo Mbeki all'alto responsabile per la politica estera dell'Ue, Javier Solana - ha permesso il riavvicinamento. E Bemba ha accettato di reintegrare le attività di governo.

«L'ho fatto per senso di responsabilità», confida in un incontro con la stampa italiana a margine di una visita della vice-ministra degli esteri Patrizia Sentinelli, venuta a Kinshasa per firmare degli accordi bilaterali e di cooperazione ma anche per ribadire l'impegno dell'Unione europea e dell'Italia nel processo elettorale congolese. Nel vasto salotto del suo ufficio di rappresentanza, il «chairman» del Movimento di liberazione del Congo (Mlc) dà la sua versione di quanto accaduto nei tre folli giorni che hanno messo a soqquadro la capitale (con un bilancio ufficiale di 23 morti e uno ufficioso di almeno un centinaio). «Kabila ha cercato di uccidermi. I suoi hanno attaccato la mia residenza per ore. Per fortuna c'erano all'interno gli ambasciatori europei. La loro presenza mi ha salvato la vita».

Difficile stabilire con precisione cosa sia accaduto quel giorno. Mentre si aspettavano i risultati delle elezioni, sono cominciati gli scontri al centro della capitale. Bemba dice che la guardia presidenziale ha preso subito di mira la sua residenza. La gente di Kabila sostiene invece che sono state le milizie dell'Mlc a cominciare, sequestrando e uccidendo due poliziotti. Di sicuro si sa solo che la situazione è degenerata e che, in effetti, la casa del vice-presidente è stata tenuta sotto assedio per alcune ore. All'interno c'erano diversi ambasciatori europei e William Swing, il capo della Monuc, la missione Onu in Congo. Rifugiatisi nei sotterranei della villa, questi ultimi sono stati tratti in salvo solo dopo l'intervento dei militari europei dell'Eufor. «Non è facile ricostruire la concatenazione degli eventi», ci dice Swing in un salone del Grand Hotel di Kinshasa. «Stiamo conducendo un'inchiesta per accertare le responsabilità. Sicuramente non ci aspettavamo che la situazione degenerasse. Ma per il momento l'importante è che il processo elettorale vada avanti».

Episodio assolutamente imprevisto da tutti gli analisti (ci si attendeva l'esplosione di Kinshasa solo in caso di vittoria al primo turno di Kabila), gli scontri di agosto sono sintomatici di un clima assai pesante e di una marcata polarizzazione del paese, in attesa di un secondo turno pieno di incognite. Mentre le trattative politiche con i vari partiti vanno avanti, i due contendenti sembrano entrambi poco disposti ad accettare una vittoria dell'altro. «I due campi si stanno riarmando, in attesa di uno scontro diretto», confida un diplomatico occidentale che vuole mantenere l'anonimato. Intanto, gli episodi di violenza si moltiplicano e le trattative per demilitarizzare la città - sospendendo le attività sia della guardia presidenziale sia della guardia personale di Bemba - sono ferme.

Il fatto è che la contesa ha assunto toni da sfida all'Ok corral. Nessuno dei due può permettersi la sconfitta: se non dovesse vincere, il 35enne Kabila scomparirebbe dalla scena politica congolese con la stessa velocità con cui è spuntato dal nulla nel gennaio 2001, quando è stato promosso alla testa dello stato dopo l'uccisione del padre Laurent Désiré. Le preoccupazioni di Bemba sono di natura diversa: sul suo capo grava la spada di Damocle di un'indagine della Corte penale internazionale (Cpi) per presunte atrocità commesse dalle sue milizie nella Repubblica centrafricana. Solo una vittoria elettorale gli assicurerebbe impunità.

Nel frattempo, come sempre accade in Congo in periodi di incertezza, le denunce di trame e complotti si diffondono alla velocità della luce. «Radio trottoir» - come è ironicamente soprannominata la vox populidi Kinshasa - parla già di accordi segreti negoziati dai soliti colonizzatori occidentali, per una spartizione del potere che ricorda il periodo nefasto della transizione post-guerra. Uno spicchio di potere per tutti per non scontentare nessuno.

Si avvicina intanto la data fatidica del 28 settembre, quando inizierà una campagna elettorale che si promette infuocata. Molti si interrogano sul futuro del paese e si domandano se la RdC riuscirà a voltare la lunga e faticosa pagina della transizione. O se, come accade da 40 anni, saranno ancora una volta le armi a decidere.

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