Da Famiglia cristiana del 18/06/2006
Originale su http://www.stpauls.it/fc/0625fc/0625fc54.htm

Il Laos salta in sella

Aperture. Non politiche, perché il regime resta comunista. Ma economiche, sì, sullo stile di Cina e Vietnam, per attrarre investimenti stranieri. E, almeno in parte, anche religiose: oggi la vita per i cattolici è un po’ meno dura.

di Alberto Chiara

Kham Pet non conosce l’impietoso dato statistico che lo vorrebbe più di là che di qua. «Davvero l’aspettativa di vita da noi è di 55 anni? Io li ho appena compiuti, ma le assicuro che sono vivo e vegeto. Sto bene. Le dirò, anzi, che sto meglio oggi di un tempo. Grazie a una nuova varietà di riso ho perfezionato la resa del mio ettaro di terra. Così il raccolto è più abbondante e di qualità più raffinata. Con i soldi che incasso non mi limito a sfamare la mia famiglia: ho fatto arrivare in casa la corrente elettrica e ho comprato un televisore. Non solo. Ora possiedo una moto. E faccio studiare i miei quattro figli. La ragazza, vent’anni, sta frequentando le magistrali nella capitale. Posto che i dati dell’Onu siano esatti, io sono ben felice d’essere un’eccezione».

Oltreché riso, ha buonumore da vendere, Kham Pet. Il suo villaggio, Tadokkham, dista circa 20 chilometri da Vientiane. Nella sua storia personale si specchia la voglia – comune a tutto il Laos – di affrancarsi dalla miseria, dall’ignoranza, dall’isolamento.

Noto nell’antichità con il nome di Lam Xang ("milione di elefanti"), privo di sbocchi sul mare, stretto tra nazioni più forti o più ingombranti – Cina, Myanmar (l’ex Birmania), Thailandia, Cambogia e Vietnam –, il Laos è sempre stata la parte più arretrata ed enigmatica dell’Indocina francese. Grande grosso modo come il Regno Unito, il Laos è in realtà poco popolato. Conta, infatti, circa sei milioni di abitanti, meno di quanto ne ha la Lombardia.

Dal punto di vista sociale, è un coacervo di etnie diverse (ne sono ufficialmente riconosciute 68, ma pare che siano quasi il doppio). Dal punto di vista squisitamente geografico, è soprattutto terra aspra: le montagne coprono oltre il 70 per cento del territorio; nonostante la frenetica attività di disboscamento, rimangono intatte ancora molte foreste. Sollievo per le comunicazioni e per l’economia locale, giacché sulle sue sponde si affollano le principali risaie, rimane dunque il Mekong, il dodicesimo fiume al mondo, 4.350 chilometri.

Il Mekong nasce in Cina, a 5.000 metri d’altezza, dai ghiacciai del Tibet, e metà del suo percorso si dipana in quello che fu il Celeste Impero. Tra i Paesi del Sud-est asiatico, in ogni caso, è proprio il Laos che ne ospita il tratto più lungo, alimentato da vari affluenti.


LA TERZA DIGA AL MONDO

Tra essi spicca il Nam Ngum, che ha visto sorgere una grande centrale idroelettrica la cui energia viene venduta anche in Thailandia. Ora ne stanno costruendo un’altra sul Nam Theun (dovrebbe entrare in piena attività nel dicembre 2009), un’opera finanziata con 1,4 miliardi di dollari dalla Banca mondiale. Il progetto è stato ed è molto criticato. «Per fare spazio a quella che si presenta orgogliosamente come la terza diga idroelettrica al mondo», ha denunciato Aviva Imhov, dell’International Rivers Network, «almeno 6.200 laotiani dovranno abbandonare le loro terre per trasferirsi in zone inadatte all’agricoltura; secondo alcuni esperti, senza ingenti quantità di fertilizzanti, in quella terra non crescerà niente. Chi dovrà abbandonare la propria casa riceverà aiuti dalla Banca mondiale soltanto per tre anni, poi dovrà arrangiarsi».

Mekong e Laos richiamano inevitabilmente alla mente le immagini di Apocalypse Now, il film con cui il regista Francis Ford Coppola raccontò a suo modo la guerra del Vietnam, anche attraverso le vicende del colonnello Kurtz (Marlon Brando). Già, la guerra. Di quanto accadde nel Laos e delle conseguenti ferite che tardano a rimarginarsi se ne sa poco e se ne parla ancora meno. Stati Uniti e Vietnam del Nord si combatterono in modo segreto ma sanguinoso anche lì, appoggiandosi su alleati locali. Alla fine delle ostilità, la quantità di materiale esplosivo gettato sul Laos fu pari a 1,9 milioni di tonnellate. Ancor oggi mine antiuomo e ordigni inesplosi continuano a uccidere, ferire o mutilare contadini, donne e bambini che lavorano nei campi.

Il Laos sta cercando di voltare pagina. Il regime comunista tenta la strada cinese e vietnamita: progressive aperture (anche sostanziali) in campo economico, pur di attirare investimenti stranieri, ma nessuna concessione nel campo delle libertà politiche e di espressione. Il reddito medio annuo pro-capite aumenta. Tuttavia il Paese rimane il fanalino di coda nelle classifiche mondiali: i tre quarti della popolazione sono costretti a sopravvivere con meno di due dollari al giorno. L’economia laotiana continua a basarsi sull’agricoltura (il Paese dice d’essere arrivato all’autosufficienza alimentare). Si producono riso, mais, canna da zucchero, tabacco, arachidi, caffè. I settori industriali in più rapida espansione sono quelli tessile e agroalimentare. Non c’è però un valido sistema di infrastrutture. Non esiste un metro di strada ferrata. Inesistenti anche le autostrade. L’aeroporto internazionale di Vientiane offre sei voli giornalieri: due su Hanoi, due su Bangkok, uno su Phnom Penh, uno su Kunming (Yunnan, Cina). Va un po’ meglio con i telefonini (sempre più numerosi) o con Internet, censura permettendo.


IL MERCATO DELL’OPPIO

Successi e battute d’arresto s’intrecciano. Grazie alla decisa lotta contro i papaveri da oppio, prima tappa nella preparazione dell’eroina, il 14 febbraio 2006 il Laos è stato dichiarato opiumfree dall’Unodc, l’organismo dell’Onu per la lotta alla droga, al crimine organizzato (narcotraffico in primo luogo) e al terrorismo. «È una certificazione meritata che però vogliamo sottoporre a verifica periodica», mette le mani avanti Antonio Maria Costa, vicesegretario generale dell’Onu e responsabile dell’Unodc: «Il Laos è passato da 27.000 ettari coltivati nel 1998 (era al terzo posto tra i produttori d’oppio, dopo Afghanistan e Myanmar) e da 63.000 tossicodipendenti ai 1.800 ettari e ai 20.000 tossicodipendenti di oggi. Temiamo possibili ricadute, perciò vigiliamo».

Un problema purtroppo in crescita è il traffico di bambine e di bambini avviati alla prostituzione o sfruttati con paghe da fame. Salari che rimangono comunque magri anche se guadagnati lontano dal mercato delle braccia. Un normale impiegato, infatti, riceve l’equivalente di 25 dollari al mese; un medico, 50. Se per un chilogrammo di riso basta mezzo dollaro, per un televisore di dollari ne occorrono anche 150; per un telefonino, 120.

«Gli sforzi non mancano», assicura il dottor Khamphoua Southisombath, vicedirettore del Centro oftalmico di Vientiane. «La sanità, ad esempio, sta facendo progressi perché il Governo ha deciso di collaborare di più e meglio con le organizzazioni internazionali, governative e non. In seguito al consistente aiuto delle Missioni cristiane per i ciechi nel mondo (Cbm), entro il 2008 ci saranno 15 oculisti capaci di operare. E già da tempo possiamo compiere attività di prevenzione o curare (i casi aumentano con l’innalzarsi dell’età media) anche nei villaggi più sperduti».

Un discorso a parte merita la questione religiosa. «Da qualche tempo, direi da due-tre anni, le relazioni tra Chiesa cattolica e Governo sono migliorate», confida monsignor Tito Banchong, 58 anni, amministratore apostolico di Luang Prabang. «Sono cessate le persecuzioni. Il Governo ha consegnato un’onorificenza a delle suore vincenziane, attive in Laos da una decina d’anni, sempre a fianco dei più poveri».

Monsignor Banchong è stato incarcerato tre volte. La prima, tra il 1977 e il 1981, venne portato in un terribile carcere militare. «Mi davano poco cibo. Ho visto percuotere duramente altri prigionieri. Nessuno, però, mi ha picchiato. Per tre volte alla settimana mi obbligavano a seguire corsi di marxismo-leninismo. Io dicevo loro: "l’ho già studiato a Roma, alle facoltà di filosofia e di teologia". Non potevo celebrare».

«Trail 1984 e il 1986 sono stato riarrestato», continua monsignor Banchong. «L’ultima detenzione risale al 1998: cinque mesi soltanto. Il Signore mi ha concesso la grazia di non perdere la fede e di perdonare i miei aguzzini. Se da un lato, nel mio vicariato, a Pong Vang, il 12 marzo 2005 è stata consacrata la prima nuova chiesa cattolica dall’avvento dei comunisti al potere, dall’altro io non sono stato ancora autorizzato a visitare cinque delle sei province che compongono la mia zona pastorale».

La comunità cattolica laotiana (40-50.000 fedeli in tutto, 4 diocesi, 3 vescovi, 14 sacerdoti, circa 70 religiose, 300 catechisti) sta per festeggiare un altro evento importante. Il 18 giugno dovrebbe essere ordinato sacerdote un giovan*e oblato laotiano, Somphone Vilavongsy, 33 anni. Avrebbe già dovuto esser ordinato sul finire del 2005, ma il permesso venne negato all’ultimo.

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