Da Le Monde diplomatique del 01/01/2001
Originale su http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Gennaio-2001/010...

Mille morti al giorno

Legale e letale, il traffico di armi leggere

di Steve Wright

Aprendo finalmente gli occhi sul ruolo delle armi leggere nell'insaprimento dei conflitti. la comunità internazionale mette l'accento sul «commercio illecito» (1). Ma anche se questo commercio rappresenta una vera e propria minaccia, soprattutto per le popolazioni dell'Africa (2), non ci si deve dimenticare che la quasi totalità delle armi leggere vendute fuori dal controllo degli stati è stata fabbricata e venduta in modo legale (3). Per organizzare un commercio «lecito» e al tempo stesso conservare i mercati «illeciti», i paesi occidentali fanno ricorso a due meccanismi fondamentali: l'intermediazione e la fabbricazione dietro licenza.

Il lavoro dell'intermediario consiste nel riunire il compratore, il venditore, il trasportatore, il finanziatore e l'assicuratore per organizzare i trasferimenti di armi e munizioni. La transazione si svolge su un territorio in cui le armi non entreranno mai, e l'intermediario non ne è mai il proprietario. In questo modo è facile per tutte la parti aggirare i regolamenti nazionali (4).

Nell'Unione europea, a giudicare dall'evoluzione dalle commesse pubbliche, l'industria è in una fase di stasi. La capacità produttiva si è però moltiplicata nel resto del mondo: i fucili M16 americani, il Fal belga, il G3 tedesco, l'AK-47 o il lanciagranate russo Rppg-7, la mitraglietta israeliana Uzi o l'Mp5 inglese della Heckler & Koch sono fabbricati in altri paesi, dietro licenza.

Tra il 1960 e il 1999 il numero di paesi che produce armi leggere è raddoppiato, mentre quello dei fabbricanti si è moltiplicato per sei (5). I paesi dell'Europa dell'est si liberano delle armi leggere utilizzate dal Patto di Varsavia - che trasferiscono nelle zone di guerra nel resto del mondo - per rifarsi, dietro licenza, uno stock di armi in regola con gli standard dell'Organizzazione del trattato dell'Atlantico del nord (Nato) (6). Secondo alcune ricerche recenti, 385 imprese presenti in 64 paesi fabbricano armi leggere o munizioni (7). Ma il segreto che regna su questo genere di affari fa ritenere che la cifra sia ben al di sotto della realtà.

Gran parte di questo aumento deriva dalla frammentazione e dalla privatizzazione della fabbricazione di armi nell'ex blocco comunista e non si hanno molte informazioni sulla capacità di produzione di queste piccole imprese di armi. In realtà solo gli Stati uniti hanno una normativa in questo senso: le cifre ufficiali del Dipartimento di stato indicano che per il periodo 1996-1998 sono state esportate armi leggere, munizioni e pezzi di ricambio (1,6 milioni di armi da fuoco, quasi duecentomila granate e oltre due miliardi di cartucce) per un valore di un miliardo e mezzo di dollari (8).

Un percorso lungo e tortuoso La forte crescita del numero di imprese e di paesi produttori si spiega in gran parte con i trasferimenti di tecnologia per la produzione di armi, resi possibili da accordi di produzione dietro licenza.

Attraverso questo sistema una fabbrica di armamenti situata in un certo paese autorizza un'impresa di un altro paese a riprodurre le proprie armi. Gli accordi sono generalmente accompagnati da dati tecnici molto precisi e talvolta dai programmi informatici necessari per permettere alle macchine di produrre copie «conformi» al modello originale. La produzione dietro licenza non è un concetto inedito: la Fabrique nationale fu creata in Belgio nel 1889 allo scopo di produrre per l'esercito nazionale fucili tedeschi Mauser.

Tra il 1960 e il 1999 quattordici paesi hanno firmato accordi di produzione dietro licenza a favore di imprese presenti in quarantasei paesi per lo più in via di sviluppo. Tra questi ultimi, sedici (in particolare il Brasile, il Cile, la Corea del nord e la Corea del sud, l'Egitto, l'India, l'Indonesia, il Pakistan, Singapore, il Sudafrica e la Turchia) hanno poi esportato le armi fabbricate nel quadro di questi accordi (9). Esportazioni spesso contrarie ai termini degli accordi di licenza firmati.

I fabbricanti di armi sono probabilmente i più bravi nell'eludere le proprie responsabilità. Tre esempi permettono di vedere come, nella pratica - e senza subire controlli troppo accurati da parte degli stati - i produttori di armi riescano ad aggirare i regolamenti e i «codici di comportamento» come quello adottato dall'Unione europea nel giugno 1998.

Le armi prodotte dalla Heckler & Koch (H&K) sono conosciute in tutto il mondo. Il suo fucile G3 (con un calibro da 7,62mm) è stato adottato da una quarantina di eserciti. Fabbricato dietro licenza in dodici stati, è stato acquisito dalla Royal Ordnance (Ro, filiale della British Aerospace) nel 1991.

Un'impresa di questa importanza non può certo vendere illegalmente i suoi prodotti. Eppure i combattenti in Bosnia-Erzegovina e in Serbia, nonostante l'embargo sulle consegne di armi all'ex Jugoslavia decretato nel 1991 dalle Nazioni unite, erano in possesso di mitra Mp5 della H&K.

La storia ha ramificazioni complesse: prima del 1991 solo la Germania vietava l'esportazione di armi verso la Jugoslavia. La H&K spiega che quelle armi sono state fabbricate dalla Royal Ordnance nella sede della sua piccola impresa di armi a Enfield (vicino Londra) prima del 1987, ma afferma «di non sapere quanti Mp5 sono stati prodotti a Enfield». Uno dei portavoce della Ro spiega che «la filiale britannica della H&K non ha mai consegnato armi alla Jugoslavia» e che rispetta «scrupolosamente i regolamenti del governo di Sua Maestà ed esporta solo nei luoghi espressamente autorizzati». Ma, aggiunge, «non possiamo essere considerati responsabili di quello che può finire nelle mani di terzi». Un modo facile per lavarsi le mani da ogni responsabilità.

Per la British Aerospace quei fatti, se realmente accaduti, si sono svolti «prima che la Ro acquistasse l'H&K nel 1991». Questa spiegazione non è sincera poiché sottintende che l'H&K e la Ro non avevano avuto alcuna relazione strutturale prima della loro fusione nel 1991. Ad ogni modo, benché nessuna delle due imprese abbia tecnicamente agito in modo illegale, le armi sono finite in una zona di conflitto dopo un lungo e tortuoso percorso che ha sfruttato le incoerenze presenti nella legislazione inglese e tedesca per aggirare le misure di embargo (10).

La società nazionale turca Mkek (industrie chimiche e meccaniche) fabbrica sotto licenza tutta una serie di armi leggere e di munizioni.

Le licenze sono spesso composte di accordi molto complessi sui vari pezzi di ricambio e tipi di armi. Nel 1992 la Mkek firmava un accordo con l'impresa francese Giat Industries, incaricata di fornire canne di fucile e torrette per veicoli blindati da trasporto truppa fabbricati congiuntamente con l'impresa americana Fmc. Nel quadro di un programma indiretto di compensazione industriale (gli accordi annessi ai contratti, chiamati «offset») per un valore di 29 milioni di dollari, la Giat offriva alla Mkek la sua tecnologia di produzione di proiettili da 25mm.

La Mkek fabbrica inoltre dietro licenza un'intera gamma di armi leggere H&K. È stato nel 1998 che la Mkek ha firmato con l'H&K un accordo di produzione dietro licenza che le permetteva di produrre 200mila fucili d'assalto HK33 da 5,56mm sul territorio turco nei successivi dieci anni. Così, mentre stati come la Germania hanno legato la loro politica di esportazioni verso Ankara al rispetto dei diritti umani, questo accordo fornisce alla Turchia uno strumento indipendente e locale di produzione delle sue armi leggere.

E Istanbul lo ha fatto rapidamente fruttare. Nel luglio 1998 infatti si veniva a sapere che la Mkek avrebbe fornito 500 mitra Mp5 alla polizia indonesiana (11). Le forze speciali indonesiane (Kopassus), che si sono messe in luce per la loro brutalità a Timor-est, utilizzavano gli Mp5 dell'H&K. Nel 1997 un documentario inglese mostrava l'addestramento dei Kopassus all'uso dell'Mp5 (12). La British Aerospace ha finito per ammettere che quelle armi erano state fabbricare nel 1996 nel suo stabilimento di Nottingham. Tuttavia il Regno unito ha negato ufficialmente che tali licenze di esportazione fossero state firmate e non si è trovata alcuna traccia ufficiale di un tale accordo. Il nuovo governo laburista dichiarò, nel 1997, di aver ricevuto quattro richieste di licenza per la fabbricazione di mitragliatrici destinate all'Indonesia,per un totale di 336 armi. Di queste quattro richieste, tre furono rifiutate e una ritirata.

Tuttavia Mkek annunciò poco dopo che avrebbe fornito quelle stesse armi alle forze di polizia indonesiane. Un altro documentario inglese mostrò che l'impresa turca aveva inviato 500 mitra Mp5 in Indonesia nel settembre 1999, nel momento in cui si assisteva ai più feroci massacri a Timor-est (13).

Né la filiale inglese dell'H&K né quella tedesca hanno potuto esportare quelle armi, a causa dell'embargo imposto dall'Unione europea all'Indonesia (14). Tuttavia la Turchia - membro della Nato ma non dell'Unione europea (Ue) - poteva incaricarsene senza scrupoli. Ma l'Unione europea, per non screditare il suo attuale «codice di comportamento», dovrebbe chiedere l'applicazione della regola del «valore comunitario» che impone ai paesi candidati all'adesione di armonizzare le loro procedure di esportazioni di armi e di dimostrare la loro capacità di controllare questi traffici per un periodo di diversi anni.

Attualmente l'impresa americana Colt Manufacturing ha avviato una trattativa per comprare l'H&K. Gli specialisti del settore seguiranno con attenzione il modo in cui la Colt adeguerà questa impresa alle limitazioni imposte dalle leggi americane, che prevedono la produzione dietro licenza. Ciò rischia di creare qualche difficoltà all'impresa svizzera Brugger Thomet, che compra Mp5 H&K-Mkek fabbricati dietro licenza in Turchia e vi aggiunge il silenziatore. I depliant pubblicitari dell'impresa tranquillizzano i compratori: attualmente non è richiesta dal governo svizzero alcuna autorizzazione per i silenziatori o per le armi da fuoco.

Oggi la Pakistan Ordnance Factory (Pof), un'impresa di stato che nel 1986 dava lavoro a circa 40mila persone e registrava vendite per 30 milioni di dollari all'anno, prevede di esportare armi per circa 150 milioni di dollari (15). La Pof produce dietro licenza i fucili d'assalto (G3 e Mp5) e le mitragliatrici H&K. Produce inoltre anche mitragliatrici Rheinmetall Mg3 e proiettili anticarro da 105mm di tipo Royal Ordnance.

Secondo un fabbricante di armi pakistano, una delle principali ragioni del collegamento della Rheinmetall con la Pof risiede nella capacità di quest'ultima di fornire certificati all'utilizzatore finale, che permettono di esportare armi tedesche in Kuwait (16). La legge tedesca di fatto vieta le esportazioni di armi in Medioriente, in questo modo il Pakistan fornisce alla Rheinmetall una scappatoia facile e legale. Secondo nostre informazioni, un'altra variante della truffa sulla destinazione finale delle armi ha permesso alle imprese tedesche di far passare attraverso la Pof un intero contratto negoziato con un acquirente mediorientale.

Si ritiene che la Pof sia implicata in molti accordi dubbi, compresa la vendita nel marzo 1989 alla giunta birmana di 150 mitragliatrici, 5.000 granate da mortaio da 120mm e 50mila cartucce. Senza dimenticare poi i fucili G3 per il Kenya, venduti attraverso la Lightweight Body Armour, una società inglese che si rifiuta di fare commenti in proposito.

La Pof avrebbe anche proposto mine antiuomo al Sudan (17).

Per fare in modo che i governi cessino di incoraggiare questi comportamenti cinici, si dovrà «tappare i buchi» lasciati aperti dalla legislazione.

Gli accordi di produzione dietro licenza dovrebbero essere oggetto di un'autorizzazione conforme ai regolamenti nazionali di esportazione, come se si trattasse di trasferimenti diretti di armi.

Per funzionare realmente il «codice di comportamento» europeo dovrà essere accompagnato da una legge che ne obblighi il rispetto. La produzione dietro licenza a favore di un paese dovrà essere vietata quando la vendita diretta di armi verso quel paese non è autorizzata.

Le riesportazioni devono essere controllate e le frodi punite. Si dovrà inoltre organizzare un controllo internazionale e collettivo sulla destinazione finale, in modo da evitare che certificati di comodo impediscano le ispezioni sulla vendita di armi.
Annotazioni − (1) Questo argomento sarà ufficialmente discusso alle Nazioni Unite durante al conferenza internazionale che si terrà a New York dal 9 al 20 luglio 2001: www.un.org/french/Depts/dda/ CAB/smallarms/

(2) Si legga Bernard Adam, «Armi leggere, destruzioni di massa», Le Monde diplomatique/il manifesto, aprile 1998. Si veda anche Elizabeth Clegg e Andrew Mclean, Towards implementation of the Southern Africa Regional Action Programme on Light Arms and Illicit Trafficking, Pretoria, Institute for Security Studies, 1999.

(3) Questo articolo si ispira a Lora Lumpe (a cura di), Running Guns.
The Global Black Market in Small Arms, Londra, Zed Books, 2000, 14,95 sterline. http://www.nisat.org/

(4) Sui meccanismi di intermediazione si legga Brian Wood e Johan Peleman, The Arms Fixers. Controlling the Brokers and Shipping Agents, Basic/Nisat/PRIO, Oslo, 1999 (http://www.basicint.org/). Si veda inoltre, sempre degli stessi autori, il capitolo 6 di Running Guns, op. cit.: «Making the Deal and Moving the Goods: the Role of Brokers and Shippers».

(5) Si veda Pete Abel, capitolo di Running Guns, op.cit.: «Manufacturing Trends Globalising the Source».

(6) «Eastern Europe's Arsenal on the Loose: Managing Light Weapons Flows to Conflict Zones», Basic Papers, n. 26, maggio 1998.

(7) Running Guns, op. cit.

(8) Dipartimento di Stato americano, Foreign Military Assistance Act Report to Congress, Anni fiscali 1996, 1997, 1998. http://www.nisat.org/

(9) Pete Abel, op. cit.

(10) Pete Abel, op. cit.

(11) Anadolu (Agenzia di stampa turca), 25 luglio 1998.

(12) Making a Killing e Profit before Principle, trasmessi da Channel Four, Londra, rispettivamente il 2 e il 9 giugno 1997.

(13) Licensed to Kill, Channel Four, 9 dicembre 1999.

(14) La British Aerospace spiega che gli accordi di produzione dietro licenza conclusi con l'Mkek erano stati firmati molto tempo prima dell'acquisizione dell'H&K nel 1991. Tuttavia in questi anni l'impresa ha sempre fornito alla Mkek la sua assistenza tecnica. Senza dimenticare poi che gli ultimi accordi di produzione sotto licenza per i fucili H&K 33 risalgono al 1998.

(15) «Pof: The Hidden Giant», Military Technology, Bonn, settembre 1986.

(16) «Pakistan Serves as German Arms Export Front», Middle East Defense News, Parigi, 20 gennaio 1992.

(17) Licensed to Kill, trasmissione citata.

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