Da Gazzetta del Mezzogiorno del 27/02/2006
Originale su http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_cronache_NOTIZIA_01.asp?IDN...

«L'inquinamento non l'uranio causa tumori reduci»

E' la conclusione cui è giunta la Commissione parlamentare d'inchiesta del Senato, secondo quanto si legge in una bozza di relazione finale. Il testo definitivo del documento si avrà domani e in contemporanea è previsto un sit-in di familiari delle vittime della «Sindrome dei Balcani» (molte delle quali pugliesi) davanti a Palazzo Chigi e a Montecitorio. Falco Accame (presidente Anavafaf): militari italiani «in Somalia, in Bosnia e in Kosovo sono stati lasciati per 6 anni senza norme di protezione» contro il rischio uranio

ROMA - Le «situazioni di degrado ambientale ed inquinamento» delle zone del Kosovo e della Bosnia-Erzegovina bombardate, e non direttamente l’uranio impoverito, potrebbero «verosimilmente» aver giocato un ruolo nelle morti e nelle gravi malattie fra i militari italiani impegnati in quelle aree. Sono le conclusioni cui è giunta la Commissione parlamentare d’inchiesta del Senato, secondo quanto si legge in una bozza di relazione finale che è però ancora provvisoria, perchè soggetta anche in queste ore a modifiche. Il testo definitivo del documento sarà vagliato domani pomeriggio dai componenti della Commissione. Sempre per domani è previsto un sit in di familiari delle vittime della «Sindrome dei Balcani» davanti a Palazzo Chigi e a Montecitorio.

Secondo la bozza di relazione, dalle audizioni svolte, dalle verifiche compiute e dalle testimonianze raccolte dalla Commissione, «non sono emersi elementi che consentano di affermare» che le patologie in questione siano da attribuire agli effetti derivanti dall’esposizione alle radiazioni o alla contaminazione dovuta al munizionamento all’uranio impoverito. Che è stato comunque usato in gran quantità sia nel 1994-’95 in Bosnia (circa 10.000 colpi sparati su 12 siti), sia nel 1999 in Kosovo (31.000 colpi su 85 siti). A sostegno di questa tesi anche il fatto che, a tutt’oggi, non sarebbero state riscontrate tracce di uranio impoverito nei campioni istologici di militari italiani che hanno sviluppato tumori.

La Commissione però sottolinea che ogni forma tumorale ha quasi sempre «un’eziologia multicausale» ed è in questo contesto che vengono prese in considerazione quelle situazioni di degrado ambientale ed inquinamento «che possono aver giocato un ruolo particolarmente importante nel primo periodo di operatività dei contingenti, quando più alta era la concentrazione di inquinanti derivanti da manufatti industriali o civili danneggiati o distrutti dalle operazioni belliche».

A questo proposito nella bozza di relazione si ricordano soprattutto le "nanoparticelle" che si producono in presenza di altissime temperature e la cui inalazione è stata indicata da alcuni esperti come possibile causa di incidenza di tumori. Queste alte temperature possono essere prodotte dall’impatto di proiettili all’uranio impoverito con le superfici colpite: «ciò suggerisce l’ipotesi - si legge nella bozza - di un ruolo indiretto dell’uranio nel promuovere le patologie tumorali attraverso le nanoparticelle da esso generate, che sembrano essere suscettibili di dispersione anche a grande distanza dal luogo di impatto dei proiettili e per un periodo di tempo allo stato non valutabile». Un’altra ipotesi è che l’aumentata incidenza di tumori sia stata provocata dai vaccini somministrati ai militari in missione. O meglio, da alcune componenti dei vaccini e dalle modalità della somministrazione, poichè dalle audizioni è emerso che, specie in presenza di un dislocamento accelerato nei teatri operativi, «non sempre le strutture della sanità militare hanno garantito il rispetto degli schemi vaccinali in questione». Ma si tratta, si legge sempre nella bozza, «soltanto di ipotesi di lavoro».

Per quanto riguarda invece i poligoni italiani, la Commissione richiama la dichiarazioni della Difesa, secondo cui non è mai stato autorizzato sul territorio nazionale l’impiego di proiettili all’uranio impoverito, e dei responsabili sanitari dell’Asl 8 di Cagliari, per i quali non ci sono evidenze statistiche per cui si possano correlare maggiori presenze di tumori, leucemie, linfomi nella popolazione della zona. Tuttavia, la Commissione sottolinea anche che è stata ipotizzata la possibilità che alcune attività che si svolgono nei poligoni possano contribuire alla produzione di nanoparticelle, nocive per l’organismo. A questo riguardo viene auspicata una revisione delle normative che regolano l’attività dei poligoni, dove oggi «non vi è un controllo diretto e preventivo da parte dei responsabili sul materiale destinato ad essere utilizzato nelle esercitazioni e nelle sperimentazioni», ed «appare carente il livello di coordinamento tra gli enti competenti per il controllo della salubrità dell’ambiente».

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