Da Peace Reporter del 01/02/2006
Originale su http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=0&idart=4585

Elezioni, la strada è minata

Spostato al 2007 il voto in Angola. L’eredità della guerra pesa ancora

di Matteo Fagotto

MANCANO LE STRADE E SALTANO LE ELEZIONI. Se fossimo in Italia una motivazione del genere si sarebbe guadagnata il Tapiro d’Oro di “Striscia la Notizia”, ma in Angola, dopo 25 anni di guerra civile, il problema evidenziato dal presidente Eduardo dos Santos è drammaticamente vero. Le elezioni generali, previste per settembre 2006, slitteranno così di un anno per permettere al governo di rimettere in sesto i trasporti e completare la registrazione degli elettori. A quattro anni dalla fine della guerra, l’Angola continua a fare i conti con il suo pesante passato.


EREDITÀ DI GUERRA. Fossero solo le strade a mancare. La lotta per l’indipendenza e la guerra civile hanno fatto precipitare il Paese in uno stato di conflitto permanente durato dal 1960 al 2002, e che in Cabinda continua ancora oggi. Si calcola che solo la guerra civile abbia fatto mezzo milione di vittime e 40 miliardi di dollari di danni. In Angola, tristemente famosa per le mine antiuomo, rimangono ancora 8 milioni di ordigni inesplosi, ed è anche per questo che le poche strade rimaste non possono essere utilizzate. Gli Angolani devono ringraziare le due superpotenze dell’epoca, che si sono affrontate in una lunga guerra per procura attraverso il comunista Mpla (Movimento Popular de Libertação de Angola) da una parte e l’Unita (União Nacional para a Independencia Total de Angola) di Jonas Savimbi, sostenuto da Usa e Sudafrica, dall’altra. Il conflitto ha ridotto il Paese in ginocchio e, terminata la guerra fredda, si è lentamente spento nel disinteresse della comunità internazionale, che dopo aver sponsorizzato il processo di pace si è dimenticata della ricostruzione.


POVERTÀ E CORRUZIONE. Non stupisce perciò che in Angola il 70 percento della popolazione viva sotto la soglia di povertà, la disoccupazione raggiunga il 60 percento e l’inflazione il 27 (un grande risultato, visto che alla fine del conflitto arrivava a numeri a tre cifre). Dati che stridono con le potenzialità economiche dell’Angola, secondo produttore africano di petrolio (1,3 milioni di barili al giorno) e quarto al mondo nel settore dei diamanti. Risorse che finora hanno foraggiato solo guerre e corruzione, al punto che il governo angolano negli anni ’90 era costretto a impegnare le entrate petrolifere future per contrarre prestiti e mantenere uno degli eserciti più numerosi e ben equipaggiati dell’Africa; e che, dall’altra parte, non riusciva a mantenere uno straccio di amministrazione, se è vero che dal 1975 al 2002 in Angola non è stato registrato neanche un atto di nascita. A quattro anni dalla fine della guerra però qualcosa in Angola sta cambiando: il Paese si sta risollevando con difficoltà, ma anche con la consapevolezza di poter giocare un ruolo importante nel continente. Se per le elezioni bisognerà aspettare ancora, i segnali positivi non mancano.


LA FINE DEL TUNNEL. Innanzitutto lo sviluppo agricolo. Il ritorno di milioni di profughi ha permesso il varo di una nuova legge agraria, che garantisce il possesso della terra e che ha beneficiato circa 4 milioni di persone. Come risultato i raccolti sono in continuo aumento dal 2002, e permettono alle famiglie di mettere da parte qualche soldo. Programmi molto meno costosi di quelli petroliferi, e che hanno un impatto immediato sulle condizioni di vita degli Angolani. Quando verranno completate le operazioni di sminamento, sarà possibile mettere a coltura zone ancora off-limits, e rimettere in sesto strade e ferrovie. Obiettivi ambiziosi, che sarà possibile raggiungere solo grazie ai “generosi” finanziamenti cinesi, visto che il governo è in rottura prolungata con il Fondo Monetario Internazionale. In cambio della concessione di diritti petroliferi a compagnie cinesi, Pechino ha sbloccato un mega-finanziamento da 2 miliardi di dollari, destinato a raddoppiare nei prossimi anni. Un’ipoteca pesante sulle risorse economiche angolane, ma anche l’unica strada praticabile per uscire dal tunnel. E per organizzare le elezioni.

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