Da Peace Reporter del 13/01/2006
Originale su http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=0&idart=4460

Somaliland, l’isola della pace

Staccatosi dalla Somalia nel 1991, il Paese è un esempio per l’Africa

di Matteo Fagotto

A nord della Somalia, che tenta faticosamente di lasciarsi alle spalle 14 anni di guerra civile, un Paese prosegue sulla strada della democrazia e della pace, tanto da venire additato come modello di sviluppo per il resto del continente. Il Somaliland, autoproclamatosi indipendente allo scoppio della guerra civile somala, ha tutte le carte in regola per essere considerato un vero stato. Manca solo il riconoscimento della comunità internazionale.


IL MIRACOLO AFRICANO. La storia del Somaliland comincia nel 1991, all’indomani del rovesciamento di Siad Barre a Mogadiscio. Provati dalle ingiustizie e dalla repressione subite sotto il regime di Barre, i clan che abitano le sei province settentrionali decidono di proclamarsi indipendenti: una decisione fondamentale, che salverà il neonato stato dalla guerra civile. Il Somaliland si dota ben presto di proprie strutture di governo, tramite un sistema misto che riesce a conciliare le istituzioni di stampo occidentale con la struttura di potere tradizionale: i clan del Paese ottengono un numero di seggi in Parlamento proporzionale alla propria consistenza numerica, dirigendo la vita politica senza traumi, secondo un modello definito di “democrazia pastorale”. Lo dimostrano le elezioni presidenziali e politiche, mai seguite da scontri armati. Anche quando l’attuale presidente, Dahir Riyale Kahin, nel 2003 viene eletto con un margine di appena 90 voti sul rivale Ahmed Mahamoud Silanyo.


DESTINI AL BIVIO. Nonostante non vi siano grandi differenze tra le popolazioni a livello culturale e religioso, le storie dei due Paesi sono rimaste a lungo separate: il Somaliland è stato un protettorato britannico fino al 1960, quando fu unito alla Somalia su cui era terminata l’amministrazione italiana. L’unione ha resistito fino al 1991. “Il regime di Siad Barre ha organizzato un vero genocidio, anche culturale, nei confronti della popolazione del Somaliland” scrive a PeaceReporter Luluh Farah, presidente del Sirag (Somaliland International Recognition Action Group). “La nostra storia è andata perduta, i nostri libri sono stati bruciati. Per non parlare delle cicatrici della guerra che ci portiamo dietro: la nostra resistenza al regime è stata pagata con i bombardamenti dell’esercito e con le mine che ancora oggi esplodono, per ricordarci che le conseguenze della disastrosa unione con la Somalia ci accompagneranno a lungo”. Si calcola che la repressione organizzata da Siad Barre abbia portato alla fuga di 700mila persone dal 1988 al 1991, mentre il Paese sarebbe stato minato con 2 milioni di ordigni.


SENZA RICONOSCIMENTO. Nel settembre 2005 si sono tenute le elezioni parlamentari, vinte dal partito Udub (Ururka Dimuqraadiga Ummadda Bahawda, Partito per l’Unità, la Democrazia e l’Indipendenza), che ha ottenuto 33 degli 82 seggi in palio. Ma il risultato più importante è arrivato dagli osservatori internazionali, che hanno confermato come le elezioni si siano svolte regolarmente. Un passo importante per legittimare l’esistenza del Somaliland, che a 14 anni dalla sua nascita non è ancora riconosciuto. La comunità internazionale preferisce che a risolvere la questione siano i governi di Hargeisa e Mogadiscio, anche se i margini di trattativa non sono ampi. Le autorità del Somaliland continuano a escludere l’ipotesi di una riunificazione, e al momento il governo somalo è alle prese con problemi interni troppo pressanti per potersi occupare della questione.


SFIDE FUTURE. La Somalia è a oggi uno stato inesistente, il cui territorio è controllato dai signori della guerra e in cui le istituzioni di transizione nate nel 2004 non sono nemmeno in grado di mettersi d’accordo su quale città scegliere come sede di governo. Tutto il contrario del Somaliland, dove i clan hanno deciso di mettere da parte le rivalità per il bene comune. I traguardi raggiunti dal piccolo stato a livello politico e economico valgono ancora di più se si calcola che, non essendo uno stato riconosciuto, il Somaliland non ha potuto beneficiare di aiuti governativi. Il grosso del lavoro per sminare i campi, far rientrare i profughi e rivitalizzare l’economia è stato fatto da Ong e da privati. Nonostante l’inizio promettente, sono ancora tante le sfide da affrontare, soprattutto in campo economico. Per il piccolo Paese dei miracoli la strada è appena cominciata.

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