Da Lettera 22 del 28/12/2005
Originale su http://www.lettera22.it/showart.php?id=3890&rubrica=74
Ombre cinesi sulla "guerra" del Belucistan
Quella dei beluci non è la solita guerra nel nome del Corano ma forse neppure una semplice riedizione delle guerriglie anni ’70. Chiedono da sempre maggior autonomia e un maggior riconoscimento dei loro diritti sui pozzi di estrazione. Per adesso Islamabad sembra aver scelto la linea dura
di Emanuele Giordana
A settanta chilometri dalla frontiera iraniana fervono i lavori al porto pachistano di Gwadar. Vecchio sogno del Pakistan, diventato ora realtà, il porto piace a Islamabad ma anche a Pechino, il partner economico maggiore di un progetto dal costo di 1,16 miliardi di dollari di cui i cinesi hanno già messi un paio di centinaia di milioni. Il porto è destinato a scopi militari e a rafforzare il Pakistan di fronte alla minaccia del nuovo porto militare indiano di Karwar. Ma c’è un problema. Il Belucistan, la più occidentale delle cinque province del Pakistan, non è un posto tranquillo. Per girare ci vuole un permesso e i più sconsigliano di avventurarsi in una “terra di ladroni”. Ma il Belucistan non è una terra di ladroni. E’ un tassello complesso e delicato dello stano puzzle che nel ’47 diede vita al Pakistan. Sulla frontiera con l’Afghanistan, dove la divisione geografica corrisponde a una linea di righello tracciato dai britannici, le popolazioni dell’attuale Pakistan hanno sempre scalpitato. Lo fanno anche adesso. E stando a indiscrezioni di fonte indiana, l’esercito pakistano ha lanciato il 18 dicembre un’offensiva di prim’ordine che comprende militari e uomini del Frontier corp, la milizia speciale per le zone di frontiera. Il target è la tribù dei Marri, una delle tre compagini locali che premono dal ’47. Forse una sessantina le vittime.
L’organizzazione militare alimentata dai clan locali è il Balochistan Liberation Army, una formazione di cui non si sa molto ma che un anno fa ha concesso ad alcuni giornalisti di visitare i suoi campi. Dove venivano addestrati giovani guerriglieri con fucili e lancia missili. Il Bla, secondo alcune fonti, sarebbe la riorganizzazione moderna di un gruppo secessionista nato diversi anni fa nelle università pachistane e che godeva della simpatia dell’Urss. Negli anni ‘70 i beluci erano un problema serio e fu necessaria una vera e propria guerra che i secessionisti della provincia occidentale chiamano “Prima guerra di indipendenza” del Belucistan, lanciata appena il Bangladesh aveva formalizzato la sua secessione dal Pakistan. Marri, Mengal e Bugti, le tre principali tribù, ebbero la peggio, così come era successo ai vari clan turbolenti più a Nord, nella riottosa provincia del Nordovest, dove i pasthun divisi dalla Durand-line, e finiti nelle mappe geografiche pachistane, coltivavano il sogno del grande Pashtunistan, unificando il Pakistan occidentale e a metà dell’Afghanistan. Un sogno a cui l’Urss aveva fatto un pensierino.
Ma adesso le cose sono cambiate. La zona del Belucistan è diventata ancor più turbolenta da quando la guerra al terrorismo in Afghanistan, e ancor prima l’occupazione sovietica, ne avevano e fatto, prima una retrovia e una base logistica per la resistenza, adesso, il luogo dove molti sbandati del mullah Omar hanno trovato casa. Ma i beluci han poco a che vedere con i barbuti del mullah guercio o del suo invisibile sodale saudita. In questa situazione confusa, e in una zona dove è fiorente il traffico di merci e il mercato per la vendita di armi, i motivi della nuova guerra dei beluci sembra abbia molto a che vedere soprattutto col porto voluto da Islamabad e da Pechino. I beluci sono stati tagliati fuori dalle decisioni sul futuro dello scalo e dalle commesse finite a finanziare qualche grossa compagnia di Karachi. Inoltre il governo, temendo che dagli sporadici attacchi alle caserme o agli oleodotti (la zona produce gas) si passasse a una nuova fase, ha riempito la regione di posti militari. E anche i cinesi avrebbero fatto la loro parte, inviando la propria intelligence, convinti che il porto di Gwadar possa essere un target per le milizie dei separatisti uiguri. In questa situazione, persino i partiti islamici, al governo nella provincia, sono preoccupati. Quella dei beluci non è la solita guerra nel nome del Corano ma forse neppure una semplice riedizione delle guerriglie anni ’70. E probabilmente per risolvere la situazione sarebbe necessario dare ascolto alle rivendicazioni. I beluci chiedono da sempre maggior autonomia e un maggior riconoscimento dei loro diritti sui pozzi di estrazione. Per adesso Islamabad ha scelto la linea dura. Trasformando il lungo confine con l’Afghanistan, per via di questa o quella guerriglia, in una delle zone più instabili dell’Asia.
L’organizzazione militare alimentata dai clan locali è il Balochistan Liberation Army, una formazione di cui non si sa molto ma che un anno fa ha concesso ad alcuni giornalisti di visitare i suoi campi. Dove venivano addestrati giovani guerriglieri con fucili e lancia missili. Il Bla, secondo alcune fonti, sarebbe la riorganizzazione moderna di un gruppo secessionista nato diversi anni fa nelle università pachistane e che godeva della simpatia dell’Urss. Negli anni ‘70 i beluci erano un problema serio e fu necessaria una vera e propria guerra che i secessionisti della provincia occidentale chiamano “Prima guerra di indipendenza” del Belucistan, lanciata appena il Bangladesh aveva formalizzato la sua secessione dal Pakistan. Marri, Mengal e Bugti, le tre principali tribù, ebbero la peggio, così come era successo ai vari clan turbolenti più a Nord, nella riottosa provincia del Nordovest, dove i pasthun divisi dalla Durand-line, e finiti nelle mappe geografiche pachistane, coltivavano il sogno del grande Pashtunistan, unificando il Pakistan occidentale e a metà dell’Afghanistan. Un sogno a cui l’Urss aveva fatto un pensierino.
Ma adesso le cose sono cambiate. La zona del Belucistan è diventata ancor più turbolenta da quando la guerra al terrorismo in Afghanistan, e ancor prima l’occupazione sovietica, ne avevano e fatto, prima una retrovia e una base logistica per la resistenza, adesso, il luogo dove molti sbandati del mullah Omar hanno trovato casa. Ma i beluci han poco a che vedere con i barbuti del mullah guercio o del suo invisibile sodale saudita. In questa situazione confusa, e in una zona dove è fiorente il traffico di merci e il mercato per la vendita di armi, i motivi della nuova guerra dei beluci sembra abbia molto a che vedere soprattutto col porto voluto da Islamabad e da Pechino. I beluci sono stati tagliati fuori dalle decisioni sul futuro dello scalo e dalle commesse finite a finanziare qualche grossa compagnia di Karachi. Inoltre il governo, temendo che dagli sporadici attacchi alle caserme o agli oleodotti (la zona produce gas) si passasse a una nuova fase, ha riempito la regione di posti militari. E anche i cinesi avrebbero fatto la loro parte, inviando la propria intelligence, convinti che il porto di Gwadar possa essere un target per le milizie dei separatisti uiguri. In questa situazione, persino i partiti islamici, al governo nella provincia, sono preoccupati. Quella dei beluci non è la solita guerra nel nome del Corano ma forse neppure una semplice riedizione delle guerriglie anni ’70. E probabilmente per risolvere la situazione sarebbe necessario dare ascolto alle rivendicazioni. I beluci chiedono da sempre maggior autonomia e un maggior riconoscimento dei loro diritti sui pozzi di estrazione. Per adesso Islamabad ha scelto la linea dura. Trasformando il lungo confine con l’Afghanistan, per via di questa o quella guerriglia, in una delle zone più instabili dell’Asia.
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