Da Il Messaggero del 22/11/2005

Il nuovo partito di Sharon: Responsabilità nazionale

di Marcella Emiliani

Se il nuovo leader del Partito laburista, Amir Peretz, credeva di poter monopolizzare il palcoscenico della politica ritirandosi dal governo di unità nazionale, ebbene non ha fatto i conti con Ariel “il bulldozer”.

E adesso tutti si chiedono: ma era necessario arrivare a tanto?

E la stabilità di Israele viene meglio garantita o messa in pericolo dalla mossa a sorpresa del suo primo ministro? Da ex militare qual è Sharon ha tratto le conseguenze di una situazione di stallo della quale rischiava di diventare la vittima più eccellente. Contestato all'interno del suo stesso partito, il Likud, dove un Benjamin Netanyahu era sempre pronto a soffiargli sul collo e ad organizzare il boicottaggio delle sue iniziative politiche, il premier uscente poteva ignorare l'opposizione della sua formazione politica solo nella misura in cui era appoggiato all'esterno dal Partito laburista.

Essendosi ritirati i laburisti dal governo di unità nazionale, Sharon ha deciso di sciogliere il nodo gordiano della sua sopravvivenza inchiodando tutti alle proprie responsabilità. La scena politica israeliana è affollata di partiti di tutti i generi (da quelli ultraortodossi a quelli detti “etnici”, ovvero rinchiusi nella scatola della provenienza unica dei propri membri: tutti ebrei russi, oppure ebrei sefarditi etc.) e da almeno due decenni non c'è partito in grado di garantirsi una maggioranza in parlamento se non attraverso faticose coalizioni. Un partito in più non può mettere in pericolo la stabilità di Israele; può invece contribuire a chiarire i programmi dei partiti che negli ultimi anni hanno perso la propria connotazione originaria, incalzati dalle vicende della seconda Intifada, dalla lotta al terrorismo islamico, ma anche dal rafforzarsi dell'ultraortodossia ebraica.

Sharon non ha fatto mistero di voler andare avanti per la strada intrapresa col ritiro unilaterale da Gaza. Vuole completare il processo di pace, rilanciare la Road map e arrivare alla creazione di uno Stato palestinese, avendo dato ampie garanzie (col suo passato e con la gestione proprio dell'Intifada al-Aqsa) di avere a cuore e di saper garantire la sicurezza dello Stato.

Ora, chi lo vuole seguire su questa strada deve arrivare ad un accordo politico alla luce del sole (si tratti di esponenti del Likud come di altri partiti) e lui perlomeno non dovrà guardarsi in continuazione le spalle. Resta naturalmente tutto da verificare quanto Sharon intenda realmente coinvolgere i palestinesi nel “suo” processo di pace, quanto voglia farsi condizionare da pressioni esterne (il vecchio quartetto di Usa, Russia, Unione Europea e Onu che virtualmente dovrebbero garantire la ripresa della Road map) e soprattutto resta da vedere se uscirà vincitore dalle elezioni anticipate di marzo. A gennaio dovrebbero svolgersi anche le elezioni politiche nell'Autonomia nazionale palestinese e dunque si dovrebbe arrivare ad un chiarimento anche in quel groviglio che è la politica palestinese stessa, stretta tra la rabbia, l'impotenza, la voglia di pace e la destabilizzazione del terrorismo islamico.

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