Da La Stampa del 23/11/2005

La Banca Centrale Europea sta per alzare i tassi

Stretta monetaria fuori dalla realtà

di Mario Deaglio

Nei Paesi dell’euro la produzione sta crescendo un po' meno rapidamente dell'anno scorso (1,5 contro 1,9 per cento), la disoccupazione è quasi invariata e, siccome il rialzo dei prezzi petroliferi continua a non produrre effetti di rilievo al di fuori dei settori che utilizzano direttamente il petrolio, l'inflazione ufficialmente registrata è pressoché identica (a ottobre 2005 risulta pari al 2,5 contro il 2,4 per cento dell'ottobre 2004). Di fronte a questa situazione sostanzialmente invariata, il governatore della Banca Centrale Europea ha annunciato improvvisamente (con una decina di giorni di anticipo sulla data prescritta), in maniera insolita e non ufficiale (durante un convegno di banchieri) e senza fornire adeguate spiegazioni, l'intenzione di elevare il costo del denaro. Ha poi dovuto ridimensionare questa dichiarazione parlando alla commissione economica del Parlamento europeo, mentre Guy Quaden, il membro belga del comitato esecutivo della Banca, ha lasciato intendere che la «correzione» dei tassi potrebbe anche non avvenire a dicembre.

Questo atteggiamento ondeggiante conferma la pessima qualità della comunicazione dell'istituzione che governa la moneta europea; essa si traduce in segnali contraddittori ai mercati, con tutti i danni che ne conseguono, e sembra accreditare l'ipotesi di un sostanziale estraniamento dei responsabili dell'euro, chiusi nel loro moderno grattacielo di Francoforte - con dinanzi un simbolo della moneta europea contornato da dodici stelle, una per ogni Paese aderente - e lontani dalla realtà economica e politica.

La Banca Centrale Europea si comporta come se i parlamenti di mezza Europa non stessero faticosamente mettendo a punto le loro leggi finanziarie, che potrebbero essere stravolte dall'aumento del peso degli interessi sul debito pubblico; come se a ottobre i consumi dei francesi non fossero calati dello 0,6 per cento dopo un calo dello 0,3 per cento di settembre e se le catene di supermercati non licenziassero i dipendenti per la debolezza della domanda; come se, mentre si lecca ancora le ferite della rivolta delle banlieues, la Francia non fosse stata ieri paralizzata da un duro sciopero dei ferrovieri, precisamente contro quelle privatizzazioni che la stessa Banca (in teoria giustamente) caldeggia; come se, sempre contro le privatizzazioni, in tutta l'Unione non fosse in corso un'altra agitazione di lavoratori contro la direttiva europea di privatizzazione dei porti.

Guardando alla stessa Germania in cui ha la sua sede, l'istituto europeo di emissione sembra non accorgersi che il programma economico del nuovo governo, il quale proprio ieri ha ottenuto la fiducia del Parlamento, è il minimo comune denominatore di due programmi contrapposti e per conseguenza risulta assai poco incisivo e che, dopo complessi negoziati durati oltre un mese, tale programma di compromesso è riuscito a totalizzare il ragguardevole risultato di una cinquantina di «franchi tiratori» mentre, sempre ieri, una grande catena di supermercati ha annunciato sensibili riduzioni del personale per la debolezza degli acquisti. Sulla situazione italiana sembra trascurare che, come ha scritto qualche giorno fa Paolo Baroni su questo giornale, il rialzo annunciato dei tassi comporterebbe un aggravio considerevole per i conti pubblici e potrebbe compromettere la messa a punto di una legge finanziaria già molto problematica che ha comunque ottenuto, pochissimi giorni fa, il «disco verde» da Bruxelles.

Il disallineamento delle posizioni della Banca dalla realtà degli sviluppi economici dei Paesi dell'euro è naturalmente solo in parte dovuto all'inesperienza di un'istituzione giovane; è il riflesso di una più generale crisi europea, accentuatasi in questo annus horribilis che ha visto il rigetto del progetto di Costituzione. Con la Banca Centrale non dialoga in realtà nessuno proprio nel momento in cui il confronto con un (oggi inesistente) ministro europeo dell'economia sarebbe essenziale. Succede così che, mentre molti governi europei preparano misure di stretta fiscale, da Francoforte arriva il segnale di un'assurda stretta monetaria, senza che negli andamenti dell'economia si sia verificato nulla che veramente la giustifichi.

Perché mai la Banca Centrale Europea si comporta così? Essenzialmente per frenare le distorsioni monetarie derivanti da un costo reale pressoché nullo del denaro, e in particolare per combattere la «bolla speculativa» del prezzo delle abitazioni, gonfiato dalla possibilità di disporre di denaro a buon mercato. Si tratta di un comportamento teoricamente corretto ma fuori contesto, come se, invece di fare politica monetaria in Europa si stesse facendo un'esercitazione in qualche università americana; si cura così il male minore senza tener conto che in questo momento il denaro a buon mercato non alimenta soltanto la «bolla speculativa» (peraltro largamente sotto controllo e con tendenza a ridimensionarsi da sé) ma sostiene altresì la domanda, altrimenti debolissima, di gran parte dei beni di consumo durevoli per i quali è sempre più diffuso l'acquisto rateale. In tal modo si rischia di uccidere l'ammalato, soffocando i timidi segnali attorno ai quali sarebbe forse possibile costruire, nei prossimi mesi, un nuovo progetto di ripresa economia europea.

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