Da La Repubblica del 26/10/2005
Originale su http://www.repubblica.it/2005/b/rubriche/glialtrinoi/roy/roy.html

Ayo e Adam, espulsi a Ragusa. Esiliati politici a Siracusa

di Giovanni Maria Bellu

E' un po' come se un automobilista fermato dalla polizia a un posto di blocco, esibisse l'ordinanza di ritiro della patente. Ubriaco? Pazzo? Chissà come reagirebbero i poliziotti. E soprattutto chissà se crederebbero a una spiegazione di questo genere: "Vi posso assicurare che qualche tempo sono stato fermato da dei vostri colleghi che, proprio come voi, mi hanno chiesto la patente. Non ce l'avevo, non l'ho mai avuta, e gliel'ho detto. Loro mi hanno dato questo foglietto e mi hanno ordinato di ripartire immediatamente. Così ho pensato che il foglietto fosse una specie di patente sostitutiva. Altrimenti non mi avrebbero certo consentito di riaccendere il motore".

Qualcosa del genere è accaduta ad Ayo Afolabi, venticinquenne nigeriano, e anche a Adam Moussa, ventiseienne del Togo. Con una differenza non piccola: il loro "foglietto" non riguardava la possibilità di guidare un'automobile ma di vivere in Italia. Era, infatti, un decreto di espulsione. Ma Ayo e Adam - e con loro altri dieci giovani immigrati - credevano che fosse un permesso di soggiorno o qualcosa di simile. Infatti, subito dopo averlo ricevuto dai poliziotti, erano tornati liberi sul territorio italiano.

La cosa sarebbe finita così, con qualche centinaio di nomi nelle statistiche delle espulsioni e con quasi altrettanti nuovi clandestini, se la ricerca di un luogo dove poter mangiare e dormire non li avesse condotti alla parrocchia di Bosco Minniti a Siracusa, che da anni ospita una casa di prima accoglienza. Non tutti assieme, ma uno per volta, alla spicciolata. Adam è arrivato all'inizio dell'estate. Ha raccontato d'essere sbarcato a Scoglitti, provincia di Ragusa, il 23 giugno e di essere stato fermato dalla polizia assieme a centottanta compagni di viaggio. "Ci hanno portati dentro un grande tendone dove ci hanno preso le impronte digitali e fotografati. Alla fine ci hanno consegnato questi fogli e siamo tornati tutti liberi". Quindi, ha mostrato quello che credeva un 'permesso di soggiorno'. Gli operatori della parrocchia gli hanno spiegato, in un inglese semplice semplice, che si trattava in realtà di un ordine di espulsione. C'è rimasto male. Ma è apparso ancor più deluso quando ha saputo che uno nelle sue condizioni, costretto ad abbandonare il suo paese per motivi politici (il padre è stato ucciso nel 2003 durante una manifestazione di protesta contro il dittatore Eyadema) aveva il diritto di chiedere l'asilo politico. "Nessuno mi ha detto di questa possibilità", ha spiegato.

Tornando all'esempio iniziale è come se, dopo saputo di non essere in possesso della patente, l'automobilista avesse scoperto che aveva il diritto di prendere un taxi, ma nessuno l'aveva informato. Fosse stato uno solo, si sarebbe potuto pensare a pasticcio burocratico. Ma poi sono arrivati gli altri undici, tutti con l'ordine di espulsione della questura di Ragusa e tutti con le idee confuse. Ayo, sbarcato il 9 settembre, aveva capito che in quel foglio c'era scritto di lasciare l'Italia, ma considerava l'ordine alla stregua di una generica esortazione. Infatti, dopo averlo ricevuto, non solo era tornato in libertà, ma aveva potuto vagabondare indisturbato, per oltre un mese, tra Roma, Napoli e Foggia. Giunto a Bosco Minniti ha appreso, come Adam, della possibilità di chiedere asilo come perseguitato politico. Una condizione certificata sul suo corpo dai segni delle torture subite in Niger.

Dodici immigrati che, dopo essere passati per Ragusa, ricevono un ordine di espulsione-lampo e che, in coro, affermano di non aver avuto né il modo né il tempo di chiedere asilo, rivelano una prassi. E fanno capire come le norme della legge Bossi-Fini vengano adattate alle multiformi emergenze locali fino al punto d'essere trattate come 'suggerimentì dei quali si può anche non tenere conto. Nascono così, a pochi chilometri di distanza, diverse "legislazioni di fatto".

Gli espulsi dalla polizia di Ragusa, una volta giunti a Bosco Minniti e debitamente informati sui loro diritti, si sono presentati negli uffici della questura di Siracusa col foglio di espulsione tra le mani e si sono autodenunciati. Quindi hanno eletto domicilio nei locali della parrocchia e hanno presentato la richiesta d'asilo politico. Mentre attendono la risposta tentano di raccogliere le idee sul paese in cui sono finiti. Quando erano in Africa, infatti, avevano sentito parlare dell'Italia come di uno stato unitario. Adesso hanno qualche dubbio.

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