Da La Repubblica del 24/08/2005
Originale su http://www.repubblica.it/2005/b/rubriche/glialtrinoi/ameh/ameh.html

Ibrahime, la morte di uno sprovveduto

di Giovanni Maria Bellu

Ibrahime Diop è stato doppiamente incosciente. L'ultima volta venerdì scorso, quando un giovane italiano gli ha piantato un coltello in pancia e l'ha ucciso. Ma ancor prima quando è arrivato a Napoli senza informarsi. Lo dimostra la scarsa 'notiziabilità' della sua morte.

Qualche articolo nelle cronache locali - perché un articolo in cronaca a un morto ammazzato non lo nega nessuno - e poi basta. Fosse stato più accorto, avrebbe avuto almeno la soddisfazione di diventare un "caso". Forse sarebbe stato pure insignito di qualche interrogazione parlamentare e, chissà, di una messa con le autorità. Invece niente: un incontro sfortunato, una coltellata al petto, un polmone bucato, e addio Ibrahima Diop e le sue fantasie di Occidente.

L'incoscienza dell'età. Ed ecco che un senegalese, per giunta irregolare che, dopo aver fatto il bracciante agricolo al Nord, si trasferisce a Napoli per guadagnare qualche soldo da 'vu cumprà' passeggiando nelle spiagge. La sera va alla stazione centrale dimenticandosi che le priorità dell'ordine pubblico sono altre. E così quando tre ragazzi italiani gli chiedono di tirare fuori i soldi, nega di averne, senza sapere che un nero, quando esce da un call center, ha "sempre" qualche soldo. I tre insistono, minacciano, e lui, come una sciura venuta dal Nord, resiste. Chissà, magari si aspettava che intervenisse la polizia.

Se si fosse informato, avrebbe saputo che attorno alla stazione di Napoli da mesi s'aggirano dei ragazzi italiani piuttosto svegli. Anziché rischiare l'osso del collo o la galera con gli scippi in motorino, hanno avviato un'attività magari meno remunerativa ma più sicura: rapinano gli immigrati, meglio se irregolari. Così i rapinati si trovano nell'alternativa tra fare denuncia ed essere espulsi o stare zitti e ingoiare il rospo. Nove su dieci ingoiano il rospo.

Pochi, o perché dotati di permesso di soggiorno o perché impulsivi, si rivolgono alle forze dell'ordine. Che raramente arrivano anche perché il solo accento dell'interlocutore chiarisce al telefonista che siamo alle solite, una rissa alla stazione dopo il calar della sera. Come dire, una lite tra jene e sciacalli.

Non sapeva lo sprovveduto Ibrahime che se per mesi un gruppo di persone perseguita un altro gruppo per il colore della pelle, quel comportamento è considerato razzista, e punito come tale, solo se i perseguitati hanno le carte in regola. E non solo il permesso di soggiorno, che peraltro Ibrahime non aveva, ma anche le carte sociali, diciamo, quelle che aprono le porte della stampa e creano i "casi". Per esempio, essere italiani e subire un analogo trattamento da un gruppo di albanesi. Col finale della coltellata e del morto. Allora sì che si va in prima pagina. E poi le fiaccolate, le dichiarazioni di Calderoli, e magari, se si ha un po' di fortuna, anche un telegramma di Pera.

Niente, invece. Così anche Tourè, l'ultima persona che ha visto Ibrahime vivo, adesso è nei guai. Niente male per un 'testimone oculare'. C'è chi su cose del genere ci ha campato tra interviste a pagamento e gettoni delle tv. Roba grande, titoloni tra virgolette: "Li ho visti". "Ho guardato in faccia gli assassini", etc etc. Invece Tourè, che in effetti gli assassini li ha visti e pure guardati in faccia, adesso gira per Napoli senza sapere che pesci prendere perché, manco a dirlo, anche lui è un irregolare. Ha paura di essere espulso e, in definitiva, non sa ancora se andrà a testimoniare.

Ma l'incoscienza dev'essere un tara della famiglia di Ibrahime. L'altro giorno, da Milano, è venuto a Napoli il fratello, Madiop. Lui è "regolare". Ha riconosciuto la salma, pianto come è giusto e poi, anziché andarsene, si è costituito parte civile. Dice, proprio come nei telegiornali le madri dei ragazzi perbene ammazzati, di volere giustizia. Intanto non ha nemmeno i soldi per portare via la salma e ha dovuto fare una specie di colletta tra gli amici. Una banale colletta che, a fatica, forse porterà a racimolare lo stretto necessario per il trasporto e che nessuno mai chiamerà "gara di solidarietà", che tra l'altro è un titolo, magari non molto originale, ma sempre di sicuro effetto.

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