Da La Repubblica del 20/11/2005

Pechino apre il mercato a Bush ma chiude sui diritti umani

Gli Usa guardano ormai alla Cina come a un potenziale avversario. Ma non possono perderne l'appoggio
Il crescente potere di Pechino limiterà le prese di posizione americane su temi scottanti come religione, democrazia e diritti
Alla vigilia dell'arrivo del presidente Usa dal governo cinese sono arrivati segnali di apertura e ma anche gesti di repressione

di Federico Rampini

PECHINO - Un giro di vite contro i cattolici, uno contro i dissidenti e uno contro la stampa estera: è il singolare "benvenuto" che la Cina ha riservato ieri a George Bush, al suo arrivo per una visita ufficiale di tre giorni. Oggi Bush parteciperà a una funzione domenicale in una chiesa protestante di Pechino, frequentata da fedeli cinesi, per testimoniare il suo impegno in difesa della libertà di religione. Già all'inizio della sua tournée asiatica, nella tappa giapponese di tre giorni fa Bush aveva esortato la Cina a progredire nel rispetto dei diritti umani, sottolineando in particolare l'importanza della libertà religiosa. Ma alla vigilia del suo arrivo c'è stata una recrudescenza di arresti tra i cattolici cinesi della chiesa legata al Vaticano, che sopravvive nella clandestinità.

Il vescovo Jia Zhiguo, nonostante i suoi 70 anni di età, è stato arrestato nella città di Zhengding: è l'ottavo arresto che subisce negli ultimi due anni. Il sacerdote Yang Jianwei e dieci seminaristi sono stati arrestati nella città di Xushui. Ambedue le località si trovano vicino a Pechino, nella provincia settentrionale dello Hebei, una delle zone dove vi è un insediamento storico di cattolici. Le notizie degli arresti sono giunte come una doccia fredda non solo per la coincidenza con la visita del presidente americano. Anche per il Vaticano è un colpo a sorpresa. Proprio in questi giorni la Santa Sede ha inviato un rappresentante a Taiwan per preparare il terreno alla rottura delle relazioni diplomatiche con l'isola, un gesto preliminare alla riapertura dei rapporti con Pechino. La Repubblica popolare cinese troncò le relazioni con la chiesa romana nel 1951, due anni dopo la rivoluzione comunista.

Dagli anni Cinquanta esistono all'interno della Cina due mondi cattolici. Da una parte c'è la chiesa "ufficiale", i cui vescovi e sacerdoti fanno atto di fedeltà al regime, con circa quattro milioni di fedeli. Dall'altra la chiesa clandestina, obbediente al Papa, con circa 12 milioni di fedeli. I segnali di un disgelo tra il Vaticano e Pechino sono iniziati prima ancora della morte di papa Wojtyla, ma il progresso dei negoziati non ha impedito alla polizia cinese periodiche retate nelle chiese clandestine.

Un'altra operazione di polizia, questa volta nella capitale, ha preso di mira una ventina di dissidenti, costretti agli arresti domiciliari proprio in occasione della visita di Bush. I più noti fra gli arrestati a Pechino sono lo scrittore Liu Xiaobo, gli attivisti democratici Liu Di, Qi Zhiyongo e Hu Jia. «Vogliono impedirci di comunicare con la stampa estera durante la visita di Bush», ha dichiarato Hu Jia: lui era già stato messo agli arresti per due settimane a settembre, per evitare che parlasse con la Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani allora in visita a Pechino.

La paura che i giornali internazionali possano circolare più facilmente in Cina è all'origine di una battuta d'arresto anche in questo campo. Gli editori esteri, soprattutto quelli dei quotidiani angloamericani che hanno già un mercato locale (abbonamenti, grandi alberghi), attendono da anni il permesso di stampare anche in Cina. Si era diffusa l'aspettativa che questa liberalizzazione fosse imminente. Invece la settimana scorsa è arrivato uno stop. L'Amministrazione generale della stampa e delle pubblicazioni, l'ente governativo che regola questo settore, ha deciso di prorogare il divieto per gli editori stranieri. A ispirare questo irrigidimento è la paura delle «rivoluzioni arancioni». Pechino ha seguito con inquietudine i movimenti democratici che dal 2003 in poi hanno abbattuto dei regimi autoritari in Georgia, Ucraina e Kyrgyztan. I leader cinesi sono convinti che dietro quei movimenti ci sia il sostegno americano.

Lo stop alla stampa di giornali stranieri fa il paio con altre limitazioni imposte di recente all'attività delle organizzazioni non governative in Cina, sempre per timore che possano essere i cavalli di Troia di movimenti democratici.

Se gli appelli di Bush per i diritti umani cadono su un terreno refrattario, in compenso i cinesi hanno deciso di essere flessibili e generosi nel business. Già ieri sera, proprio mentre il Jumbo americano dell'Air Force One si posava sulla pista dell'aeroporto di Pechino, il governo cinese ha fatto il primo gesto distensivo annunciando l'acquisto di 70 Boeing 737 per le compagnie aeree nazionali. La maxicommessa alla Boeing, azienda basata a Seattle e Chicago, insieme con l'acquisto di altri aerei può raggiungere un valore di 6,5 miliardi di dollari. Altre concessioni, o almeno promesse, Hu Jintao potrebbe farle a Bush sulla rivalutazione della moneta cinese (Yuan o renminbi) e sulla tutela dei copyright. Questa è musica per le orecchie del presidente americano, venuto a lamentare il deficit commerciale di 200 miliardi di dollari negli scambi fra gli Stati Uniti e la Cina.

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