Da Corriere della Sera del 18/11/2005

Prima mozione al Congresso Usa: "Via dall'Iraq"

di Ennio Caretto

PUSAN (Corea del Sud) - La guerra in Iraq non dà pace al presidente Bush. Lo insegue anche nella Corea del Sud, dov’è costretto a difendere il vicepresidente Cheney e chiedere al governo di Bagdad di punire i colpevoli iracheni delle torture nelle carceri. Il tutto, mentre al Congresso di Washington viene depositata la prima mozione che chiede, esplicitamente, il ritiro dall’Iraq. A presentarla, John Murtha, tra i più noti deputati democratici: al Congresso da oltre 30 anni, è membro dell’influente commissione delle Forze armate della Camera, che si occupa di questioni di Difesa. D’accordo con Murtha più della metà degli americani: secondo un sondaggio di Gallup per la Cnn e Usa Today , il 52 per cento è favorevole a un ritiro immediato o entro 12 mesi.

Così, in Corea del Sud, Bush è costretto a parlare dell’Iraq. Il primo intervento - durante la conferenza stampa col sudcoreano Roh Mooh-yun, con cui ha annunciato «tolleranza zero» per il riarmo nucleare della Corea del Nord - è a favore di Cheney, il quale aveva definito «disoneste, riprovevoli» le accuse dei democratici alla Casa Bianca d’aver manipolato l’ intelligence sulle armi di sterminio di Saddam. «Secondo il senatore Chuck Hagel questi interrogativi sono patriottici. Ha ragione lui o il vicepresidente?» chiede un giornalista. La risposta di Bush, visibilmente irritato: «Il vicepresidente».

E prosegue la sua autodifesa: «Dire che ingannai il Congresso e il pubblico è irresponsabile. Molti democratici votarono per la guerra dopo avere esaminato la stessa intelligence , e vincere la guerra è una questione seria. Dissentire dal presidente è patriottico, non mi disturba. Ma certi giochi politici sono irresponsabili». I democratici ribattono che la Casa bianca non è più credibile.

Il secondo intervento di Bush è una risposta, a distanza, al governo iracheno di Ibrahim Jaafari. Riferisce la Casa Bianca che il presidente sia rimasto scosso dal tentativo a Bagdad, fatto dal ministro dell’Interno Bayn Jabr, di minimizzare il nuovo scandalo delle torture, che coinvolge le forze di sicurezza irachene. «Vieto non solo le torture, ma anche un unico schiaffo. Nessuno è stato decapitato, nessuno ucciso», ha detto Bayn Jabr, sostenendo che nella prigione sotto accusa si trovavano «i terroristi e i criminali più pericolosi» e che appena sette di essi «avevano segni di percosse», pur «garantendo» che i «responsabili di eventuali abusi» risponderanno alla giustizia.

Bush discute del caso con la Rice, poi ordina all’ambasciata americana in Iraq di emettere un secco comunicato: «Ci uniamo al governo iracheno nel deplorare gli abusi. Essi non sono mai stati e non saranno mai tollerati, anche un solo caso è troppo. Abbiamo sempre insistito sul fatto che i ministeri o le forze di sicurezza non devono adottare tecniche di controllo tipiche delle milizie». Poi un invito al governo iracheno a stroncare gli abusi ovunque siano compiuti e a svolgere un’inchiesta imparziale.

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