Da La Stampa del 11/11/2005

Il vecchio leader paga l’accordo col premier e l’insicurezza sociale che attanaglia una società povera

Il proletario sfida il premio Nobel

di Fiamma Nirenstein

Ancora tutta Israele si stropiccia gli occhi e si dà i pizzicotti per svegliarsi dallo strano, inverosimile sogno in cui Peretz batte Peres, il governo di unità nazionale va in pezzi e le elezioni anticipate si profilano all’orizzonte. Quei grandi baffi spioventi, la voce eccitata, il continuo riferimento alle sue origini marocchine e alla sua povera cittadina di Sderot su cui cadono i missili e dove la disoccupazione impazza, lo stile a maniche arrotolate di Amir Peretz, a fronte del tono pacato e patriarcale, all’eleganza azzurrina, all’accento polacco e al legame con i padri della patria, a Ben Gurion di cui è stato l’allievo preferito e a Yzhak Rabin di cui è stato il compagno di strada, l’appartenenza al migliore jet set del premio Nobel Shimon Peres...

La gara sembrava impossibile, anche i sondaggi hanno seguitato a dare fino a dieci punti in più a Peres fino alla fine della terribile notte del Partito laburista, quando Peres ha detto ai giornalisti: «Vi ricordo che non si chiede mai a un gentiluomo come ha passato la nottata». Invece lo sfidante proletario un sindacalista 53enne, ritenuto «un demagogo sociale» e un estremista, con la sua vittoria delinea persino l’uscita dalla scena politica del grande protagonista di ogni processo di pace.

Peretz come sua prima dichiarazione ha promesso di dire a Sharon «ce ne andiamo», e di spodestare così Peres e gli altri sette ministri laburisti e avviandosi a una politica tutta sociale. La sua speranza è indurre una rivoluzione che stacchi la povera gente dal Likud e la porti al suo partito. La magnifica esperienza sia nel campo della sicurezza che in quello della politica estera di Peres è stata scavalcata dall’insicurezza sociale che attanaglia una società povera, in cui soffre di più la comunità di ebrei che fu cacciata dai paesi arabi. Peres ha suscitato un gran senso di ribellione fra i suoi legando il suo destino a quello di Sharon nel periodo dello sgombero da Gaza, lsciando che Bibi Netanyahu ministro del Tesoro facesse una politica liberista molto accentuata, e investendo sulla possibilità che «Arik» proceda sulla via delle rinunce territoriali; ha urtato il senso identitario di una sinistra da anni sconfitta dal terrore e spossessata della sua linea proprio dal nemico più odiato, Arik Sharon.

Peres tuttavia ha con se un gran numero di leader e di militanti che pensano che sia una rovina andare alle elezioni con un leader appassionato di scontro sociale, organizzatore di scioperi generali, ma senza nessuna esperienza di questioni relative alla sicurezza e alla politica internazionale. Due soggetti di cui Peres è maestro. E la storia ci dice che potrebbe benissimo ancora restare sulla scena: accanto alle vittorie, la sua biografia conta una quantità di sconfitte impressionate (quella del 74 nella gara interna con Rabin; del 77 con Begin alle elezioni; nell’88 con Shamir; nel 92 con Rabin di nuovo; nel 96 con Nethanyahu e poi la sconfitta di fronte a Moshe Katzav quando correva per la presidenza della repubblica).

Peres ha una esposizione e una esperienza che lo renderebbe, se volesse, indispensabile al Peretz. Ma allora Peretz dovrà dire a Sharon, nel prossimo incontro di domenica, che rimanderà un poco le elezioni anticipate.

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