Da La Stampa del 31/10/2005
Originale su http://www.lastampa.it/_web/_P_VISTA/molinari/archivio/molinari051031.asp

Ciagate il vicepresidente indicato come vero regista della vicenda

I democratici: «Bush e Cheney chiedano scusa»

Kerry: «Volevano solo lanciare la guerra»

di Maurizio Molinari

NEW YORK - «George Bush e Dick Cheney devono chiedere scusa agli americani per come si sono comportati i loro aiutanti». L’opposizione democratica alza il tiro sulla Casa Bianca ed il capo dei senatori, Henry Reid, si appella al presidente perché le indiscrezioni del Cia-gate che rimbalzano sui media chiamano insistemente in causa il vicepresidente come il vero regista della vicenda, per evitare fughe di notizie da ambienti dell’intelligence che avrebbero potuto creare imbarazzo all’amministrazione sulla guerra in Iraq.

Il Washington Post ha ricostruito con minuzia di dettagli una conversazione che ebbe luogo il 12 luglio 2003 a bordo dell’Air Press Two fra Cheney ed il suo capo di gabinetto Lewis Libby, finora l’unico incriminato dal procuratore Patrick Fitzgerald per lo scandalo sulla rivelazione dell’identità dell’agente della Cia Valerie Plame. Secondo il giornale, Libby chiese consiglio a Cheney su come rispondere alle richieste dei giornalisti in merito allle critiche rivolte alla guerra in Iraq dall’ex ambasciatore Joseph Wilson (marito della Plame).

Solo Catherine Martin, addetto stampa di Cheney, fu presente a quel colloquio riportato nei documenti dell’inchiesta. Sebbene nessuno sia in grado di dire cosa rispose Cheney, il pomeriggio di quello stesso 12 luglio Libby ebbe le conversazioni con i giornalisti Matthew Cooper (Time magazine) e Judith Miller (New York Times) nelle quali svelò che la Plame aveva lavorato per la Cia.

Due settimane prima Libby aveva detto alla Miller che la Plame apparteneva «forse» all’intelligence ma ora la conferma arrivava a suggerire una spiegazione precisa sull’origine delle critiche di Wilson: ad ispirarle poteva essere stata la moglie perché era lei che lavorava nella sezione della Cia incaricata di seguire il dossier delle armi di distruzione di massa ed era stata sempre lei ad incaricare Wilson di andare nel febbraio 2002 in Niger, da dove lui tornò affermando che Saddam Hussein non aveva mai tentato di acquistare uranio.

Si sarebbe trattato insomma di un’iniziativa presa dagli ambienti della Cia ostili alla guerra - perché convinti dell’inesistenza delle armi di distruzione di massa - che Cheney volle bloccare affidando a Libby il compito di silurare la Plame per evitare che altri ne seguissero l’esempio. E’ questa la teoria del «cover up», la tesi dell’esistenza di una cospirazione dentro la Casa Bianca per evitare che il pubblico americano sapesse dei dubbi che circolavano nell’intelligence sulla motivazione dell’attacco all’Iraq.

Sebbene il procuratore Fitzgerald non abbia trovato alcuna prova in merito - nè abbia fatto riferimento ad alcuna cospirazione nel testo dell’incriminazione di Libby - l’ipotesi del «cover up» tiene banco tanto sui media che al Congresso. L’editorialista liberal Nicholas Kristof ha chiesto ieri dalle colonne del New York Times a Cheney di «dare spiegazioni». «E’ ragionevole chiedersi cosa Cheney sapeva e quando lo ha saputo», ovvero se il vicepresidente «ha avuto alcun tipo di coinvolgimento con i comportamenti criminali che avvenivano nel suo ufficio», essendo Libby il più stretto dei suoi collaboratori - noto per una proverbiale prudenza - al quale resta a tutt’oggi legato da un solido rapporto fiducia. Questa atmosfera politica giova ai democratici, secondo cui «le scuse alla nazione» sono il minimo che ci si possa attendere da Bush e Cheney.

«Devono farsi avanti e allontanare ogni dubbio che il pubblico possa avere», incalza Reid mentre John F. Kerry, sconfitto alla presidenziali da Bush, rilancia la tesi di un «cover up che servì a lanciare la guerra» Il protagonista dello scandalo resta l’ambasciatore Wilson che in un’intervista a «60 Minutes» della tv Cbs ha svelato di aver ricevuto assieme alla moglie «ripetute minacce specifiche», arrivando a doversi rivolgere alle agenzie di sicurezza per chiedere «protezione».

«Di più non posso dire ma gli ultimi 27 mesi per noi sono stati un vero inferno», sono state le parole di Wilson, che non ha dunque chiarito se le minacce sono giunte da ambienti locali oppure da personaggi stranieri con cui la moglie era stata in contatto quando operava sotto copertura per conto della Cia.

Sullo stesso argomento

Articoli in archivio

Sotto accusa il giornalista del Watergate per aver coperto un'altra fonte della Casa Bianca coinvolta nello scandalo
Il Ciagate travolge anche Bob Woodward
di Carlo Bonini su La Repubblica del 18/11/2005

News in archivio

su Diario del 13/09/2006
Stati Uniti: un sito pubblica la ricetta della bomba atomica
Dopo la denuncia del New York Times la pagina web è stata chiusa
su ITNews del 03/11/2006
 
Cos'� ArchivioStampa?
Una finestra sul mondo della cultura, della politica, dell'economia e della scienza. Ogni giorno, una selezione di articoli comparsi sulla stampa italiana e internazionale. [Leggi]
Rassegna personale
Attualmente non hai selezionato directory degli articoli da incrociare.
Sponsor
Contenuti
Notizie dal mondo
Notizie dal mondo
Community
• Forum
Elenco degli utenti

Sono nuovo... registratemi!
Ho dimenticato la password
• Sono già registrato:
User ID

Password
Network
Newsletter

iscriviti cancella
Suggerisci questo sito

Attenzione
I documenti raccolti in questo sito non rappresentano il parere degli autori che si sono limitatati a raccoglierli come strumento di studio e analisi.
Comune di Roma

Questo progetto imprenditoriale ha ottenuto il sostegno del Comune di Roma nell'ambito delle azioni di sviluppo e recupero delle periferie

by Mondo a Colori Media Network s.r.l. 2006-2024
Valid XHTML 1.0, CSS 2.0