Da La Stampa del 05/11/2005

Dopo la marcia romana

Israele sente odore d'Europa

di Fiamma Nirenstein

CI sono un migliaio di punti esclamativi nella voce dell’annunciatore alla radio israeliana quando, di mattina presto, racconta, fra i primissimi titoli, che diecimila italiani di tutti i partiti si sono dati appuntamento per difendere Israele. Sorridono con allegria i colleghi giornalisti all’idea che Giuliano Ferrara abbia gridato «Buona fortuna Israele» in farsi. Israele non crede ai suoi occhi quando si sente capita. E’ come quando Gal Friedman e la sua barca a vela Mistral hanno vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi, o quando allo scienziato Israel Ulman è stato assegnato, adesso, il Premio Nobel, o, nel 1995, Dana International arrivò prima all’Eurovisione.

Israele sente finalmente dopo tante rotture odore d’Europa, nostalgia di casa; incredibile, dicono la tv e la radio di qui chiedendo spiegazioni alla giornalista italiana, dopo tante condanne, tanti fraintendimenti... Non è solo per via della manifestazione, ma anche nel suo contesto, che gli incaricati del ministero degli Esteri proprio in queste ore lavorano anche di notte alla preparazione dei rivoluzionari accordi che faranno della Comunità europea un partner importante, come ha sempre chiesto, nel controllo dei varchi con Gaza; una responsabilità grande se vista dalla parte di un Paese tormentato dagli attacchi terroristici e una novità concettuale dato che Israele ha fatto della sua sovranità un punto di orgoglio e di salvezza e non si è mai fidata dell’Europa che sembra stare sempre dalla parte dei palestinesi.

E la forza internazionale dell’Onu al confine col Libano non ha dato buona prova, lasciando mano libera agli Hezbollah per i loro rapimenti e per gli attacchi con le Katiushe. «Oggi fa un grande effetto - dice Eli Karmon esperto di terrorismo, professore al Centro Interdisciplinare di Herlzlya - che sia la gente in piazza a capire finalmente che viviamo un pericolo estremamente reale. E non si tratta solo della paura della bomba atomica di eventuale prossima costruzione, ma di una distruzione quotidiana del processo di pace: la Jihad islamica e Hamas sono supportate in tutti i modi dall’Iran, anche contro Abu Mazen».

La scena internazionale è di fatto molto cambiata: l’Onu ha compiuto tre mosse che sembravano impensabili, e in tutte quante l’Europa ha avuto un ruolo decisivo. La commissione guidata dal tedesco Mehlis non sarebbe mai andata tanto a fondo nell’individuare i responsabili della morte di Rafik Hariri mettendo quindi in questione il regime siriano e le sue trame che comprendono l’ospitalità ai gruppi terroristi palestinesi, se la Francia non ci fosse stata.

Il discorso di Ahmadinejad non avrebbe ricevuto venerdì 28 la condanna del Consiglio di Sicurezza se, pure con una serie di accorgimenti, Condo-leezza non avesse conquistato l’assenso della Russia. Infine, Israele che da 60 anni lo aspettava è molto commossa, soprattutto date le tendenze negazioniste e l’antisemitismo rampante, della decisione dell’Onu di stabilire un giorno mondiale di ricordo della Shoah il 27 gennaio.

Il Medio Oriente e le sue dinamiche stanno cambiando e con essi la lettura che se ne dà: le prepotenze e l’antisemitismo degli autocrati mediorientali appaiono più stridenti mentre è in corso nel mondo arabo un epocale dibattito sulla democrazia e la guerra in Iraq, e mentre Israele col ritiro da Gaza ha dato segni concreti di volere proseguire sulla via della pace. Sharon, da parte sua, vede che la sua scelta di salire sul treno della democratizzazione del Medio Oriente cercando di avvicinare l’avvento di uno Stato palestinese anche a costo di duri sacrifici a fronte della follia delle intenzioni genocide di una dittatura integralista, fa sì che anche l’Europa lo saluti con uno sventolio di bandiere bianche e azzurre da Roma. Ci chiediamo tante volte come si promuove il processo di pace: ecco, questa è evidentemente una strada, come si vede dal velocissimo e concreto definirsi di un ruolo fondamentale per gli osservatori europei.

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