Da La Repubblica del 31/10/2005

I media Usa leggono la sortita di Berlusconi sulla guerra come un tentativo di smarcarsi dalla Casa Bianca in vista del voto

L'imbarazzo di Washington per lo sgambetto di Silvio

di Vittorio Zucconi

«UN COMMENTO caduto in un momento inopportuno» tossicchia un diplomatico italiano al quale da 24 ore gli uomini della Casa Bianca telefonano seccati per scoprire che cosa nasconda l'inopinato ripensamento «pacifista» di Silvio Berlusconi. Per sapere se per caso il buon soldato Silvio, quello che nel gennaio del 2003 si era pubblicamente allineato dietro il comandante Bush nella politica del cambio di regime, non stia cercando di prendere le distanze da una Presidenza americana nei guai sul fronte esterno come su quello interno.

Da ieri sera, da quando il capo del governo italiano è sbarcato alla base di Andrews nei sobborghi di Washington per una delle visite di stato più fulminee che anche la diplomazia delle figure senza contenuti seri ricordi (tornerà a Roma già questa sera) i «courtiers», i sacrestani e i coadiutori delle due corti stanno lavorando per ricostruire la facciata dei sorrisi, della incrollabile amicizia e della fedele sintonia che oggi vedremo restaurata. Ma quelle parole di Berlusconi sono state più «di una sorpresa sgradita» come ha scritto un commentatore del Los Angeles Times.

Sono state la bizzarra e davvero inopportuna resurrezione di un fantasma storico che perseguita il nostro Paese e che proprio il primo governo di destra nel dopoguerra aveva promesso di esorcizzare per sempre: lo spettro dei «giri di valzer» e dell'inaffidabiltià di un'Italia che comincia le guerre da una parte e le finisce dall'altra. Oltre che essere, come sciaguratamente il caso della bufala nigerina ha mostrato, il solito Paese di magliari.

La sortita di Berlusconi, e la sbalorditiva rivelazione di un suo ripetuto tentativo di lobby (sei volte) con l'appoggio di Gheddafi, nel 2003 ancora compreso nella lista dei governi sponsor del terrorismo, sarebbero state inopportune comunque oltre che stupefacenti per consumatori americani non abituati alle acrobazie dialettiche dei nostri politici, al «qui lo dico e qui lo nego» e allo scaricamento sulla stampa che fraintende. Questo segnale di disengagement berlusconiano dal pantano di una guerra che ha portato Bush sotto quota 40% nel favore popolare, questo sospetto di ritiro retorico, se non militare, da una missione a Nassiriya che la stampa americana ha sempre ignorato nonostante il nostro contributo di sangue, suona come un colpo di stiletto alle spalle, ora che la Casa Bianca è caduta «dalla sella del suo cavallo bianco» come ha detto il commentatore della Cnn, Jeff Greenfield, sbalzata dalle incriminazione del "cervello di Cheney", il suo capo gabinetto e chief ideologue Scooter Libby.

Il sospetto che qualche alleato ballerino e tremebondo al pensiero di elezioni politiche incombenti, possa fare quello che nel gergo americano si chiama kick `em while they are down, prenderli a calci mentre sono al tappeto, ha messo anche il nuovissimo ambasciatore italiano a Washington, ed ex consigliere diplomatico di Berlusconi a Palazzo Chigi, Castellaneta, nella condizione che ogni ambasciatore più detesta, quella di dover chiarire, spiegare e placare.

Castellaneta era stato accolto da Bush, al momento della presentazione delle credenziali, come un grande amico, come il rappresentante prima personale che ufficiale di quel «Silvio» che George chiama proprio così, come un amico e un «junior partner», un socio di minoranza nella coalizione dei volenterosi spediti in Iraq a rischiare la vita per dare sostegno internazionale, e crismi Onu, all'unilateralismo Usa.

Naturalmente, quando oggi pomeriggio, dopo l'incontro ufficiale alla Casa Bianca di un'oretta e poi il solito lunch, la colazione leggera a mezzogiorno che George offrirà a Silvio, per i consumatori di immaginette elettorali e di sequenze edificanti per i telegiornali italiani, tutto sarà stato nascosto sotto il tappeto, le ignobili patacche dei nostri magliari, le inedite perplessità pacifiste del soldato Silvio, perché queste inutili visite di Stato «sorridi e fuggi» pensate soltanto in funzione della propaganda elettorale non sono fatte per pubblicizzare dissensi. Ma i sorrisi, le pacche sulle spalle, gli scambi di paccottiglia regalo, i giuramenti di reciproco e incrollabile amore con gli immancabili riferimenti alla «tradizionale amicizia» e alla fede nei valori della libertà e della «lotta al terrorismo», saranno vernice sulle crepe.

Anche questa amministrazione accecata in passato dalla propria arroganza ideologica, e ora umiliata dai propri errori, vedrà bene che non è ripensamento politico, è istinto di conservazione quello che ha spinto Berlusconi all'"inopportuna" sortita. Lo sa anche il Los Angeles Times che «la coalizione di destra guidata dal premier è divisa, mentre la sinistra abitualmente frazionata sembra coagularsi compatta dietro Romano Prodi e proporre una sfida elettorale formidabile» e non possono non saperlo gli analisti del Dipartimento di Stato e dell'Italian desk di quella Cia dove le cartacce confezionate a Roma sulla «polvere magica» per farsi belli agli occhi di Bush non furono mai prese sul serio. Di qualcosa, tuttavia, la delegazione italiana può compiacersi. Per la prima volta nella lunga serie di visite berlusconiane al soglio washingtoniano, serie seconda soltanto ai viaggi del prediletto Tony Blair, qualcuno presterà attenzione a queste comparsate che i media americani serenamente ignorano.

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