Da El Pais del 30/10/2005

Parla l'ambasciatore che denunciò l'infondatezza della vendita di uranio nigerino a Saddam

Wilson, il giorno della rivincita "Svelato il complotto della Casa Bianca"

di Ernesto Ekaizer

WASHINGTON - L'ambasciatore Joseph "Joe" Wilson, 56 anni, polo celeste e jeans, fuma un sigaro sulla terrazza dell'albergo Four Seasons: «Fitz (il procuratore speciale, ndr)li ha scoperti. E' arrivato al nucleo della cospirazione alla Casa Bianca».

Cominciamo dall'inizio, al febbraio del 2002. Perché la chiamano dalla Cia e la mandano in Niger? C'entra qualcosa sua moglie?
«Dopo gli attentati dell'11 settembre, nei rapporti che il vicepresidente Cheney riceve dalla Cia, si avverte che l'ambasciatore iracheno presso la Santa Sede, Wissam al Zahawie, ha fatto un viaggio in tre paesi africani, uno dei quali è il Niger, nel febbraio del 1999. Secondo la Cia, il Sismi italiano suggerisce che il vero obiettivo del viaggio fu l'acquisto di uranio arricchito. Si tratta di un'affermazione. Non è stata verificata. Nel 2000, l'Intelligence britannica elaborò anch'essa dei rapporti, senza prove, sull'interesse dell'Iraq per l'uranio del Niger. Il tema interessa particolarmente Cheney. L'uranio, se processato, è la materia prima per fabbricare armi atomiche. Passano diversi mesi. Nel febbraio del 2002, Cheney e il suo capo gabinetto, Lewis Scooter Libby, si recano diverse volte nella sede della Cia. Chiedono che si indaghi per verificare se esistono altri dati sul Niger».

E qui entra in scena lei...
«Non ancora. Naturalmente, Cheney non dice «mandate Wilson in Niger». E' più semplice, suggerisce: «Perché non approfondite il tema?». La Cia si mette all'opera, fa una riunione con le persone che sanno qualcosa sull'uranio, e mi chiede di recarmi in Niger. Io parto il 26 febbraio del 2002. La mia missione è quella di verificare se sia esistito un memorandum d'intesa per vendere l'uranio all'Iraq».

Che cosa scopre?
«Che qualunque contratto di vendita richiede tre firme: quella del primo ministro, quella del ministro dell'Energia e delle Miniere e quella del ministro degli Affari Esteri. Parlo con tutti e tre. Mi assicurano che quel documento non esiste, che l'operazione è un'invenzione e che se esiste un documento con quelle tre firme si tratta di un falso. Riesco a sapere, inoltre, che non c'era uranio disponibile da vendere e che l'Aiea teneva sotto controllo tutte le operazioni.».

Quel giorno Bush afferma nel suo discorso sullo stato dell'Unione che, secondo la Gran Bretagna, l'Iraq ha cercato l'uranio arricchito in Africa.
«Sono le famose 16 parole. Chiamo il Dipartimento di Stato e parlo con un collega. Gli dico che se il presidente si riferiva al Niger, questo voleva dire che il mio rapporto, così come gli altri due presentati nel marzo 2002, erano sbagliati. O si trattava di un errore del presidente? Mi disse che forse si trattava di un altro paese dell'Africa. Gli credetti e decisi di restare in silenzio».

Che cosa provò quando El Baradei denunciò davanti al Consiglio di sicurezza dell'Onu, il 7 marzo del 2003, 12 giorni prima dell'invasione dell'Iraq, che i documenti sul presunto acquisto di uranio arricchito in Niger da parte dell'Iraq erano falsi?
«Mi intervistarono in tv. Spiegai che se l'amministrazione Bush avesse cercato nei suoi archivi avrebbe scoperto che su questa faccenda ne sapeva di più di quanto si affermava. Da questa intervista comincia la campagna contro di me e contro mia moglie… Mi dicono che nell'ufficio di Cheney in quei giorni di marzo si tenne una riunione dedicata a me. Nel giugno del 2003, cominciai a lavorare a un articolo. Prima o poi il mio nome sarebbe venuto fuori. Dovevo scriverla e firmarla di mio pugno. Il New York Times pubblicò il mio articolo. Non potevo sospettare che avrei attivato una bomba a orologeria».

Otto giorni dopo l'uscita del suo articolo, un giornalista pubblicò il nome di sua moglie, Valerie Plame, indicando che era una agente della Cia. Vendetta? Cospirazione?
«Io mi aspettavo un attacco personale, loro invece, alla Casa Bianca, hanno deciso di punirmi, sì, ma… attraverso mia moglie.».

Sua moglie, Valerie Plame, continua a lavorare per la Cia?
«E' giovane, bella ed è la madre della mia seconda serie di gemelli, che adesso hanno 6 anni. Questa vicenda è stata, a 42 anni, la fine della sua carriera. Non può viaggiare fuori degli Stati Uniti, ha perso tutte le sue fonti e i contatti. Quasi vent'anni buttati dalla finestra.».
Annotazioni − Articolo pubblicato il 30/10/2005 su "la Repubblica". Traduzione di Luis Moriones.

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