Da La Repubblica del 27/10/2005

A Reggio la prima missione del nuovo capo dell'antimafia. Stop ai veleni tra procure: "Sono qui solo per coordinare"

Grasso: super pool per la Calabria

Caso Fortugno, il procuratore invia una task force di investigatori

di Attilio Bolzoni

REGGIO CALABRIA - Quando si incontrano sull'ascensore si danno le spalle, neanche si dicono buongiorno. Parlano male uno dell'altro, non si passano le carte, rimangono chiusi nelle loro stanze senza mai scambiarsi informazioni per le inchieste. Poi il capo, alcuni di loro proprio non li sopporta. Troppo voglia di fare, troppa intraprendenza investigativa. È la Procura distrettuale di Reggio, quella che sulla carta dovrebbe rappresentare l'avamposto calabrese della guerra alla ‘ndrangheta. Al Csm ci sono scaffali pieni di carte sulle sue guerre intestine, sul disordine che regna sovrano. È in questa capitale del crimine e in questi uffici giudiziari dilaniati da anni di faide che Pietro Grasso ha avuto il suo battesimo di fuoco come superprocuratore.

Nel suo primo giorno di "coordinatore" dei pubblici ministeri antimafia è voluto venire qui, nella Calabria dei grandi traffici e di quel delitto eccellente di due domeniche fa, l'omicidio al seggio del vicepresidente del consiglio regionale Francesco Fortugno. Lo sa che sta accadendo qualcosa di drammatico nelle province in fondo all'Italia, che quel morto a urne aperte segna una svolta storica per la ‘ndrangheta e le sue strategie. E Grasso ha scelto Reggio per farsi vedere e farsi ascoltare. Purtroppo ha incontrato i pezzi rotti delle Procure di Catanzaro e Reggio, una che indagava sull'altra (e viceversa) fino a qualche tempo fa, una valanga di inchieste incrociate che hanno paralizzato o condizionato le altre attività di indagine, annunci di trasferimenti in massa per «incompatibilità ambientale» per alcuni capi, uno scandalo nello scandalo in una terra infestata dal boss.

Il procuratore è arrivato sullo Stretto per riunire insieme tutti i prefetti e i questori e i vertici giudiziari, summit che Grasso ha sostenuto con il suo stile, morbido e deciso nello stesso tempo: «Non sono qui per indagare o per risolvere un omicidio perché non rientra nei miei compiti, sono qui per dare sostegno e informazioni in mio possesso». Alla procura di Reggio e a quella di Catanzaro, che stanno indagando tutte e due sull'assassinio del vicepresidente del parlamento della Calabria. E poi ha spiegato meglio Grasso: «Siamo qui per offrire agli organi di polizia che operano sul territorio e ai magistrati, uomini con esperienze specialistiche e tecnologie avanzate». Con il sorriso tra le labbra e modi garbati il procuratore ha annunciato chi sarà in realtà a collaborare all'inchiesta sull'omicidio di Locri: il generale Ganzer del Raggruppamento operativo speciale, il capo della prima divisione del Servizio centrale operativo Caldarozzi, il capo della Dia Sasso, il generale Gibilaro della Finanza e il generale Gualdi del Servizio centrale antidroga. È la squadra delle indagini, è praticamente l'eccellenza della macchina investigativa italiana a scendere in campo e in forza per dare la caccia agli assassini e ai mandanti di Francesco Fortugno.

La diplomazia di Pietro Grasso era giustificata dal tam tam di voci che ha preceduto la sua visita calabrese, in particolare quelle sull'incontro che ci sarebbe stato tra lui e il capo dei pm di Reggio, Antonio Catanese, magistrato al centro di tante polemiche. Lo "stile Grasso" si è scoperto alle prime parole: «I giornali mi definiscono un superprocuratore, ma io sono soltanto un coordinatore». Parole non a caso, nel suo blitz in Calabria.

Qualche giorno fa il procuratore capo Antonio Catanese, in uno sfogo si era lasciato sfuggire: «Non permetterò a nessuno di mettere ipoteche sul mio ufficio, non accetto giudizi sul mio lavoro, non abbiamo bisogno di altri e con i nostri mezzi siamo in grado di fare tutto». Lo sfogo si concludeva con un'affermazione perentoria: «Non siamo una sottoprocura». Così stanno le cose a Reggio. All'uscita del summit tra Pietro Grasso e gli investigatori calabresi abbiamo chiesto al procuratore Catanese: è vero che lei ha detto che la sua Procura «è una piccola Svizzera»? La risposta: «Non l'ho mai detto, però lo penso davvero». Ma non è più tempo di polemiche o di far riemergere le vergogne di Reggio e dei suoi magistrati in questi giorni di paura. Dice bene Alberto Cisterna, un pubblico ministero calabrese che è alla procura nazionale antimafia: «Non può essere questa la stagione dei dissapori e dei rancori, c'è bisogno di fiducia: la visita del presidente Ciampi e le manifestazioni dei ragazzi di Locri segnano l'inizio di un nuovo percorso per la Calabria».

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