Da La Repubblica del 26/10/2005

Duemila morti americani in Iraq

Bush: "Completeremo la missione", i pacifisti preparano una grande protesta

Si riaccende la polemica sul ritiro Il presidente: "I sacrifici sono essenziali per vincere la guerra"
Il sergente Alexander era saltato su una mina a Samarra. Ieri altri due soldati uccisi a Falluja

di Alberto Flores D'Arcais

NEW YORK - Il sergente George Alexander, 34 anni, è morto sabato in un ospedale di San Antonio, Texas, in seguito alle gravi ferite riportate otto giorni fa, quando una bomba aveva fatto saltare per aria il suo blindato vicino a Samarra, Iraq. Il sergente Alexander non lo saprà mai, ma il suo nome passerà alle cronache della guerra irachena come il morto americano numero duemila.

In realtà altri sono morti dopo di lui, ieri due marines - anche loro saltati per aria - a Falluja, ma visto che il Pentagono ha annunciato ufficialmente la morte di Alexander solo ieri pomeriggio alle quattro, nel triste conteggio che i quotidiani e i siti web aggiornano regolarmente il numero duemila è toccato a lui.

Duemila è una cifra simbolica, che i morti americani siano 1999 o 2001 da un punto di vista militare cambia poco o niente (a parte per le vittima e per familiari ed amici); ma nel mondo di oggi i simboli contano a volte più della realtà ed è per questo motivo che mentre le cifre ufficiali del Pentagono continuano ad essere leggermente più basse (1994 morti) - perché il ministero della Difesa deve rispettare le proprie regole (famiglie avvisate, ecc.) - i media hanno fatto a gara per essere i primi a dire quota duemila. Con la Cnn che ha lanciato la notizia subito in mattinata e con l'Ap che ha aspettato l'annuncio del Pentagono su Alexander per aggiornare il suo conto.

Le cifre americane non tengono conto dei morti iracheni - decine di migliaia - tra civili innocenti massacrati dalle autobombe e dagli agguati dei terroristi, combattenti delle diverse fazioni e soldati regolari uccisi in campi di battaglia sempre più difficili da definire come tali; e non tengono conto neanche dei morti stranieri, siano essi soldati della forza di coalizione, volontari delle tante Ong presenti a Bagdad o ostaggi sgozzati dai "militanti di Allah".

Il "morto numero duemila" ridà fiato alle proteste dei movimenti pacifisti che da giorni - proprio in previsione della cifra simbolo - stanno preparando manifestazioni in ogni angolo degli States con Cindy Sheehan, la "mamma antiguerra" che durante l'estate aveva ridato fiato ai pacifisti, che si è subito sdraiata davanti alla Casa Bianca in segno di protesta. Apre nuove estenuanti discussioni nei talk-show televisivi su cosa fare in Iraq, se restare o andarsene e soprattutto con quale exit strategy che impedisca all'Iraq di diventare uno Stato islamico sul modello iraniano, perché a quel punto «quei duemila morti sarebbero stati inutili».

Per l'amministrazione americana - già toccata da altri problemi - il "numero duemila" è arrivato nel giorno in cui il presidente rivendicava il successo della Costituzione appena approvata in Iraq. E Bush, pur non facendo cenno alla cifra simbolo, ha voluto - parlando in una base aerea vicino Washington a un'associazione di mogli di ufficiali - ricordare comunque i morti: «Il modo migliore per rendere onore ai caduti è di completarne la missione e vincere la guerra contro il terrorismo».

Il presidente ha riconosciuto che questo «è tempo di sacrifici, specie per i militari», ha ammesso che gli Stati Uniti hanno perso «alcuni degli uomini migliori» ed ha invitato a rendersi conto che altri morti saranno necessari: «I sacrifici sono essenziali per vincere una guerra che richiede tempo e determinazione. Abbiamo ancora del lavoro da fare, abbiamo ancora dei rischi davanti».

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