Da Corriere della Sera del 17/10/2005

Dopo il referendum sulla Costituzione

Il nuovo Iraq e il rebus sunnita

di Sergio Romano

Il referendum costituzionale iracheno sarà valido soltanto se la Carta non verrà bocciata in almeno tre province da due terzi degli elettori. Finché non conosceremo il definitivo conteggio dei voti, quindi, il risultato formale della consultazione rimarrà incerto. Esiste tuttavia sin d’ora un nuovo Iraq, approvato dalla grande maggioranza dei suoi cittadini sciiti e curdi. Per comprendere l’importanza e il significato dell’avvenimento è utile ricordare che gli Stati Uniti, quando Bush decise di invadere il Paese, non avevano nel cassetto alcun progetto costituzionale per l’organizzazione dello Stato dopo la sconfitta di Saddam. Erano convinti che l’intera società irachena avrebbe accolto i liberatori entusiasticamente e si sarebbe convertita alla democrazia. Spettava agli esuli, che viaggiavano con l’intendenza delle forze d’occupazione e avevano perduto da tempo i contatti con la realtà nazionale, riaprire i ministeri, rimettere in moto la macchina dello Stato, indire nuove elezioni. Le cose, come sappiamo, sono andate molto diversamente. Dopo parecchi errori e incidenti di percorso (l’epurazione, la dissoluzione delle forze armate, il trattamento inumano dei prigionieri), la presidenza Bush si è scontrata con diffusi focolai di ostilità e ha scoperto di trovarsi in un Paese difficilmente governabile, diviso da antiche faglie etniche e religiose. Quando hanno capito che l’Iraq stava sfuggendo al loro controllo e che le file della resistenza si stavano ingrossando con l’arrivo dei loro peggiori nemici, gli americani hanno deciso di appoggiarsi sugli sciiti e sui curdi, vale a dire sui due gruppi che Saddam aveva sistematicamente represso e perseguitato a vantaggio della minoranza sunnita. Ma non hanno compreso, se non troppo tardi, che i sunniti non erano soltanto il «collegio elettorale» del dittatore e la spina dorsale del partito Baath. Erano anche il solo gruppo che avesse un forte interesse alla conservazione dello Stato unitario e potesse considerarsi, sin dalla sua formazione nel 1921, «iracheno». Gli altri due, curdi e sciiti, hanno sempre avuto un piede fuori dal territorio nazionale: i curdi nel grande Kurdistan che ancora sognano di creare con i fratelli separati degli Stati vicini, gli sciiti nel grande Paese musulmano (l’Iran) che è per molti aspetti la casa madre della loro confessione.

Per convincere curdi e sciiti a cooperare occorreva promettere che avrebbero goduto di larga autonomia e cambiare quindi la forma dello Stato. Da unitario e centralizzato l’Iraq è divenuto federale. Sarebbe in linea di massima una buona soluzione se il parto non fosse stato frettolosamente accelerato da ragioni che appartengono alla politica americana più di quanto non appartengano a quella internazionale. Bush, non vuole ammettere che la realtà non si è conformata alle sue previsioni e ha bisogno di una soluzione politica che gli consenta di chiudere la partita e portare i ragazzi a casa.

E’ nato così uno Stato in cui i due gruppi dominanti disporranno di gran parte della maggiore ricchezza del Paese e in cui i sunniti si sentiranno «diseredati». Per evitare che il conflitto politico degeneri in guerra civile, non resta che sperare in qualche correzione costituzionale nei prossimi mesi e nel buon senso dei vincitori: due prospettive che i terroristi e gli insorti, naturalmente, faranno del loro meglio per sabotare.

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