Da Corriere della Sera del 12/10/2005

Gheddafi ripristina la «giornata della vendetta»

Tornano le celebrazioni anti-italiane. Fini: «Inaccettabile». Sullo sfondo richieste economiche

di Maurizio Caprara

ROMA - Se la vendetta è un piatto che si serve freddo, ancora più effetto può fare quando la tavola, in teoria, dovrebbe essere stata sparecchiata. Malgrado un anno fa la Libia avesse annunciato di apprestarsi a istituire un «giorno dell’amicizia», venerdì scorso, 7 ottobre, la Gran Jamahiria Araba Libica Popolare Socialista ha celebrato ancora una volta la «giornata della vendetta» contro l’Italia. Si tratta dell’anniversario della espulsione in massa decretata da Muhammar el Gheddafi, nel 1970, per 20 mila italiani, in parte arrivati nel suo Paese ai tempi del colonialismo, in parte nati lì a guerra mondiale finita. In occasione della visita di Silvio Berlusconi a Mellitah, nel 2004, il Colonnello aveva detto che avrebbe rinunciato a far festeggiare questa ricorrenza. Invece alla Casa della cultura di Tripoli, venerdì, si sono riuniti membri dei Comitati popolari. Discorsi dei dirigenti, poi l’invio di un telegramma di congratulazioni al «leader della Rivoluzione».

«Un comportamento inaccettabile da un punto di vista morale prima ancora che politico», ha commentato Gianfranco Fini, ministro degli Esteri e presidente di An, partito che per ragioni storiche risulta più restio di altri ad ammorbidimenti verso la Jamahiria.

Allo stesso tempo, Fini ha espresso un giudizio articolato: quanto avvenuto «conferma che il rapporto con Gheddafi rimane complesso perché accanto a una politica positiva di cooperazione con l’Italia sul controllo delle coste, e la lotta all’immigrazione clandestina, ci sono comportamenti inaccettabili». Conclusione: «Credo che questa doppia politica del Colonnello possa essere capita, ma ovviamente non giustificata, più con una chiave di lettura interna che nel rapporto con l’Italia». Come a dire: Gheddafi sbaglia, ma lo fa per non scontentare il suo uditorio.

Al di là delle reazioni ufficiali, c’è dell’altro dietro questo nuovo attrito italo-libico portato alla luce a Roma ieri da Giovanna Ortu, la presidente dell’Associazione italiani rimpatriati dalla Libia. La prima cosa che Tripoli vuole, in realtà, è la costruzione a spese dell’Italia di una strada costiera dalla Tunisia all’Egitto, indicata come una forma di risarcimento per le sofferenze dovute al colonialismo. Oppure, di una linea ferroviaria da Misurata a Sebah. Nel primo caso, il costo non sarebbe inferiore a tre miliardi di euro. Troppo, secondo Palazzo Chigi.

«Vogliamo essere vostri partner, ma la Libia è un Paese sovrano. Avevamo chiesto un grande gesto di grande valore, la strada o la ferrovia. E non c’è stato», risponde una fonte diplomatica libica quando gli si domanda perché la giornata della vendetta è rimasta.

Dopo che Gheddafi ha concordato con Usa e Gran Bretagna lo smantellamento dei suoi programmi per le armi di sterminio, gli affari in Libia non vanno bene per l’Italia. Il 2 ottobre l’Eni ha conquistato quattro concessioni per prospezioni e sfruttamento di pozzi di petrolio, a Murzuq e a Kufra, però in precedenza i vantaggi principali sono andati ad americani e concorrenti stranieri. Le nostre esportazioni hanno subito un calo. Tripoli manda segnali di raffreddamento. Da oltre un anno non rimpiazza l’ambasciatore a Roma. Il senatore Sandro Battisti, Margherita, domanda a Fini, in un’interrogazione, quali misure adotterà sul giorno della vendetta.

Giovanna Ortu avanza un’ipotesi: «La difficoltà dell’esecutivo a dialogare con i libici va messa in relazione all’attenzione da essi riservata ai possibili vincitori della nuova tornata elettorale, primo fra tutti Romano Prodi. Per intervistarlo è arrivato in Italia il capo del Dipartimento informazione della Jamahiria». In estate, è vero, il candidato dell’Unione per Palazzo Chigi ha dato una lunga intervista alla tv libica. Lo stesso Prodi, nel 2004, andò in vacanza in Libia. Gheddafi, grato per l’invito a Bruxelles del 2004, lo invitò a parlare al congresso dei Comitati popolari. E il caso, in questi casi, conta poco.

Una protesta davanti all’ambasciata italiana di Tripoli negli anni Ottanta, quando con cadenza regolare venivano organizzati cortei anti-italiani in Libia.

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