Da La Repubblica del 19/09/2005
Originale su http://www.repubblica.it/2005/i/sezioni/esteri/germaele1/poltrodue/pol...

IL COMMENTO

Germania, una poltrona per due candidati

di Bernardo Valli

I TEDESCHI aspettavano che dalle urne spuntasse un cancelliere. Ne sono usciti due candidati. Gli stessi in gara all'inizio del voto. In serata, sia Angela Merkel, sia Gerhard Schroeder rivendicano la carica di cancelliere. È facile immaginare il compunto stupore della Germania seduta davanti ai teleschermi. E allora? A cosa è servito il voto? La Merkel, entrata vincente nella campagna elettorale, arriva alla fine con le ossa rotte. Il suo partito, la cristianodemocratica Cdu, ha perduto rispetto alle elezioni del 2002. Doveva relegare in un angolo, ridotto a pezzi, la socialdemocratica Spd, logorata da sette anni di governo, e invece se la ritrova alle calcagna, a neppure un punto di distanza.

Alla vigilia i sondaggi annunciavano un distacco di almeno otto punti; e all'avvio dei comizi, un paio di mesi fa, addirittura di venti. C'era un abisso. Gerhard Schroeder l'ha colmato. Nessuno, salvo lui, pensava che fosse possibile. Si capisce l'aria stranita di Angela Merkel. Gli amici pessimisti e gli avversari crudeli le annunciavano una vittoria dimezzata.

Sul piano personale è uscita sconfitta. Messa alla guida di un partito che si sentiva ormai al governo, l'ha condotto a uno dei più bassi quozienti della sua cinquantennale storia. Ma quel punto di vantaggio rispetto alla Spd, nei risultati ancora parziali che si avvicendano sugli schermi, dà il diritto alla Merkel di rivendicare la cancelleria.

Dopo la Merkel, con la sua aria di candidata-cancelliere bastonata, irrompe sulla scena Gerhard Schroeder. È troppo trionfante, ha il piglio troppo puntuto, per uno che viene a dire addio al partito e alla politica, come è stato vagamente annunciato. Ma con lui non si sa mai.

È uno che se ne va a testa alta. Adesso che ha evitato al partito la disfatta pronosticata, sia pure fermandolo a un quoziente non certo tra i migliori nella gloriosa storia della socialdemocrazia tedesca (inferiore a quello del 2002, come l'avversaria Cdu), adesso può anche ritirarsi a vita privata. E invece dichiara che sarà lui a guidare un governo stabile nei prossimi quattro anni Due candidati, dunque, per la cancelleria.

Il voto non ha in apparenza risolto nulla. Sui teleschermi si dipanano i risultati e si succedono le dichiarazioni. I tedeschi assistono uno spettacolo politico ricco di colpi di scena, carico di emozioni, ma certo non favorevole all'invocata stabilità. L'immediato futuro politico, nella Germania postelettorale, si annuncia agitato. Per ora è confuso. Ma anche fitto di significati e messaggi.

Anzitutto né Schroeder resuscitato né la Merkel più che dimezzata dispongono di maggioranze sufficienti per governare. Schroeder non può rilanciare l'alleanza rosso - verde (socialdemocratici e verdi); la Merkel non può formarne una con i liberali (che hanno sfondato il tetto del 1O per cento, quoziente eccezionale per il loro partito, ma insufficiente per dare la maggioranza al centro destra).

E allora? Si impone come prima ipotesi la Grande coalizione, ossia l'alleanza tra cristiano democratici e socialdemocratici, già conosciuta nei lontani anni sessanta ('66-'69). Ai tedeschi l'idea piace. La società politica la detesta. Sa che significa immobilismo. Paralisi. Il blocco delle riforme auspicate dagli uni e dagli altri. Ma chi deve guidare la Grande coalizione? La Merkel? Schroeder? È il primo grosso dilemma.

Se la Cdu resta in testa, sia pure di un punto, o di un mezzo punto, la Merkel dovrebbe avere formalmente la precedenza. Nel 2002 Schroeder conquistò la cancelleria con una maggioranza di neppure novemila voti. Alcuni dicono settemila. La Merkel esce tuttavia azzoppata dalle elezioni. Azzoppata soprattutto agli occhi del suo stesso partito, che ha portato al traguardo stremato, impoverito di voti. È in grado di guidare una Grande coalizione con i lupi socialdemocratici, che condizioneranno ogni sua mossa, impedendogli ogni iniziativa? Nella Cdu non sono pochi a voler regolare i conti con "la ragazza", come la chiamava Helmut Kohl, che la scoprì nella Germania dell'Est postcomunista, subito dopo la riunificazione.

E Schroeder? Con quale diritto può rivendicare la cancelleria? Lo straordinario recupero, realizzato a dispetto dei pronostici dei mass media e dei sondaggi, fa di lui il trionfatore della serata elettorale tedesca diffusa in tutto il mondo. Ma mentre annuncia che non intende lasciare la cancelleria alla Merkel, i risultati provvisori relegano la Spd al secondo posto. Sia pure con un distacco di pochi decimali rispetto alla Cdu (e all'associata Csu bavarese).

Durante lo spoglio, nelle prossime ore potrebbe passare in testa; è vero; il sorpasso nella notte non è escluso; tuttavia, da adesso, nell'attesa di quella eventualità, Schroeder può avanzare un'obiezione. È vero che Spd e Verdi non sono abbastanza forti per formare il governo, ma la sinistra nel suo insieme ha la maggioranza. Più del 50 per cento, se si conta anche la formazione in cui si sono raccolti i post comunisti dell'Est e i socialdemocratici dissidenti dell'Ovest. Un'alleanza che non è ancora un partito vero e proprio, ma che entrerà come tale per la prima volta al Bundestag, avendo superato largamente la sbarra del 5 per cento. E questa è una delle grandi novità di queste elezioni.

Tutti escludono un'alleanza con die Linke (la Sinistra), nonostante rappresenti una forza utile per raggiungere la maggioranza. Per Schroeder è impensabile un'intesa con Oskar Lafontaine, ispiratore dello scisma solcialdemocratico, che ha sottratto voti preziosi, decisivi alla Spd.

Lafontaine è un suo diretto avversario. Voleva compiere la sua vendetta, si è detto, togliendo al cancelliere la possibilità di arrivare alla maggioranza. C'è in parte riuscito. Non del tutto. L'aria trionfale (sprezzante quando parla di die Linke) che il cancelliere esibisce sulla ribalta post elettorale è, almeno in parte, dovuta al fatto che la scissione a sinistra non l'ha troppo penalizzato. Lafontaine e i suoi sono dunque esclusi da ogni alleanza. E tuttavia i voti che hanno raccolto contribuiscono a dimostrare che la maggioranza del paese rifiuta le riforme troppo liberiste, destinate a ridimensionare il modello renano, l'economia sociale di mercato alla tedesca.

In questo senso il risultato elettorale è stato chiaro. Non è affatto confuso. I tedeschi non accettano un drastico ridimensionamento del sistema sociale. Le dichiarazioni sui ribassi fiscali, sia quelle di Angela Merkel, sia quelle dei suoi consiglieri, in particolare di Paul Khirchhof, il professore di Heidelberg, destinato ad essere il suo ministro dell'economia, hanno decimato i voti inizialmente destinati alla Cdu.

Schroeder fa pesare il verdetto del paese. Lo indica al suo partito, che dalla sponda opposta criticava le sue riforme, giudicandole troppo blande. La sua linea era quella giusta. Ed intende continuarla. La dissoluzione anticipata del Parlamento non era una mossa azzardata, o disperata, di chi vuole gettare la spugna.

Era necessaria per chiedere al Paese una nuova conferma. E la conferma c'è stata. La difficoltà consiste nel tradurla in un governo stabile. Non è comunque a un cancelliere cristiano democratico, personalmente sconfessato dagli elettori, come è il caso della Merkel, che può essere affidato il compito. Schroeder non ha dubbi. È raro che ne abbia. Quel ruolo non può essere che suo.

Da oggi cominciano i negoziati. Vale a dire il braccio di ferro. La Cdu non ha scampo. La Grande coalizione è la sola soluzione. La SPD ha il successo di Schroeder che le ha ridato grinta.

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