Da Corriere della Sera del 30/08/2005

In gennaio hanno disertato le elezioni, ora cambiano tattica. La Lega Araba: «Questo documento spaccherà il Paese»

Iraq, i sunniti lanciano la sfida delle urne

Corsa a registrarsi per il referendum nelle province che contestano la Costituzione

di Lorenzo Cremonesi

GERUSALEMME - Schede elettorali al posto dei fucili. Per la prima volta dalla guerra del 2003 anche la minoranza sunnita in Iraq potrebbe accettare in massa di andare alle urne. Forse una notizia positiva da questo Paese sconvolto dalle violenze. Dopo essere tornati a rifiutare il documento costituzionale approvato due giorni fa dai rappresentanti sciiti e curdi al parlamento, alcuni tra i massimi leader sunniti si sono detti però favorevoli alla partecipazione della loro gente al referendum previsto per il 15 ottobre. Lo fanno tra gli altri Adnan al Dulaimi, segretario generale della Conferenza Generale dei Sunniti in Iraq e il Partito Islamico, la formazione politica sunnita che si era astenuta al voto per la costituzione del parlamento il 30 gennaio. Sembra addirittura che diversi capi tribali nella provincia di Anbar, la più sconvolta dal terrorismo tra quelle del «fronte del rifiuto» contro il governo e la nuova costituzione, abbiano già garantito che bloccheranno qualsiasi azione di boicottaggio ai danni delle operazioni di scrutinio.

Un appello a partecipare ai meccanismi istituzionali voluti dal governo di Ibrahim al Jaafari nominato dopo il 30 gennaio che crea una situazione paradossale. I sunniti infatti sono in larga parte contrari al processo politico messo in moto dagli americani. L’assemblea degli Ulema, il massimo organo consultivo dei loro notabili religiosi a Bagdad, sino ad oggi ripete che «non parteciperà in alcun modo al governo del Paese sino a che le forze di occupazione americane e i loro alleati non se ne saranno andati». Ma in questo caso si sentono costretti dalle nuove leggi dello Stato a votare in massa al referendum costituzionale. Ieri anche Abdel Salam al Qubaissi, autorevole portavoce degli Ulema, si è detto pronto a votare «no» al referendum. Le disposizioni dell’ex governo di Iyad Allawi dell’autunno 2004 prevedono in particolare che il referendum sia bocciato se in 3 delle 18 province irachene due terzi dei voti risultassero contrari.

Originariamente si era trattato di una concessione fatta dalla maggioranza sciita alla minoranza curda, a sua volta timorosa di rimanere schiacciata nel nuovo Stato controllato dai partiti filo-iraniani. Ora però questa rete di protezione gioca a vantaggio dei sunniti. Ossia, di un gruppo a cui appartiene circa il 20 per cento dei 26 milioni di iracheni, ma che rappresenta la maggioranza nelle province centrali di Anbar, Salahaddin, Niniveh e Bagdad (sono inoltre una minoranza a Diala e Kirkuk).

Sette mesi fa, tolta la zona centrale della capitale, quasi nessuno di loro aveva votato. Allora sui circa 14,2 milioni degli aventi diritto, circa 8 milioni si erano recati alle urne, in stragrande maggioranza sciiti e curdi. Tra un mese e mezzo il tasso di partecipazione potrebbe essere dunque più alto. Secondo un sondaggio effettuato dal Centro iracheno per lo sviluppo e il dialogo (che però non ha operato nella provincia di Anbar) pubblicato ieri dal quotidiano in lingua araba Al Sharq Al Awsat , oltre l’80 per cento degli elettori potrebbe votare. In fondo è il sogno di ogni processo democratico, che mira comunque a risolvere le dispute non con la violenza, ma attraverso il voto. Un sogno che negli ultimi mesi è sembrato via via una chimera impossibile nell’Iraq lacerato dalla guerra civile, insanguinato dal terrorismo, dalla minaccia crescente della frammentazione in tre Stati indipendenti rispettivamente a maggioranza curda, sciita e sunnita. A più riprese anche la stampa americana, non ultimo il New York Times , ha puntato il dito sul pericolo dell’islamizzazione rampante sotto l’influenza di Teheran e la fine dell’entità statuale irachena.

In ogni caso, il nuovo documento costituzionale continua a sollevare critiche. Ieri parole dure sono arrivate anche da Amr Mussa. Dopo aver attaccato il federalismo, il segretario generale della Lega Araba ha aggiunto: «Non credo nella divisione arbitraria e artificiale tra sciiti, sunniti, curdi, cristiani o musulmani. Penso che siano tutte componenti di una ricetta destinata a gettare il Paese e i suoi vicini nel caos». Intanto a Tikrit, villaggio natale di Saddam Hussein, circa 2.000 sunniti hanno sfilato condannando le autorità sciite e curde per la morte di 37 sunniti, i cui cadaveri sono stati ritrovati alla periferia della capitale, e brandendo le foto dell'ex dittatore accompagnate da slogan contro la costituzione «iraniana e americana».

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