Da La Repubblica del 22/08/2005
Il capo di una dei due grandi partiti del Kurdistan commenta lo scontro sulla Costituzione
"Dai curdi no alla legge islamica siamo pronti a congelare l'accordo"
Il leader Barzani agli Usa: non disarmeremo i nostri soldati
di Marco Ansaldo
Massud Barzani, presidente del Kurdistan, la Costituzione irachena sarà islamica o no?
«Posso dire quello che ho riferito di recente ai costituenti iracheni a Bagdad e ai 111 membri del Parlamento autonomo curdo: il nostro è un secco no a uno Stato modellato sui principi islamici».
Dunque un no agli americani e al loro ambasciatore Zalmay Khalilzad che preme per l'approvazione della Carta e chiude un occhio sulla definizione di "Repubblica islamica"?
«Noi rispettiamo tutte le posizioni. Ma non accetteremo compromessi su quelli che riteniamo siano nostri diritti. I curdi si battono per un Iraq nuovo, federale e democratico. Cercheremo di far valere le nostre posizioni e non arretreremo di un passo. Non accetteremo che l'Iraq diventi uno Stato islamico».
Da mesi ormai voi curdi non sembrate più andare d'accordo con gli americani. È vero?
«L'alleanza con gli Stati Uniti è stata fondamentale. Con il loro aiuto siamo riusciti a vincere la guerra e a cacciare Saddam Hussein. Ma oggi la diplomazia Usa deve comprendere le nostre esigenze. Quel che ripetiamo comunque agli americani e alla coalizione internazionale è di rimanere in Iraq. Perché un ritiro, a questo punto, sarebbe un disastro».
I curdi appaiono però i più duri a resistere alle pressioni provenienti anche da sciiti e sunniti. A che cosa puntate?
«Alla concessione di un'ampia autonomia territoriale e a uno Stato preferibilmente laico. Questa è la mia posizione. Ma non c'è accordo tra i membri dell'Assemblea costituente».
Ambienti molto vicini al leader curdo rifiutano le accuse di ritardare la firma della Costituzione, e criticano piuttosto le posizioni di alcuni politici arabo sunniti considerati alla stregua di nostalgici del regime di Saddam Hussein. L'accordo in realtà non sembra mai esserci stato tra le diverse regioni dell'Iraq.
Il Nord da lei rappresentato, oggi che cosa vuole?
«I curdi hanno accettato di far parte dell'Iraq anche se la nostra gente vuole l'indipendenza e l'autodeterminazione. Dietro questo sacrificio chiediamo che le nostre condizioni siano garantite».
Quali?
«La questione del rientro dei profughi fuggiti durante il regime di Saddam, e poi quella dei peshmerga».
I combattenti che «guardano la morte in faccia»: che cosa chiedete per loro?
«Che non vengano disarmati. La milizia non deve essere sciolta per integrarla nell'esercito centrale iracheno. I peshmerga devono restare a difendere il Nord del paese».
C'è infine la questione di Kirkuk, città che tutti vogliono perché affonda nel petrolio. L'altro giorno si è tenuta una grande manifestazione di sunniti e sciiti, scesi in piazza a protestare contro l'opzione federalista, mostrando cartelli dove campeggiavano scritte come "Sì all'Islam, no al frazionamento" e "Kirkuk è irachena". E un problema destinato a rimanere irrisolto?
«E' un problema che non si risolve con le minacce. Kirkuk è una città irachena. Ma anche curda. E la gente del Kurdistan ha il diritto di scegliere liberamente. I curdi giocheranno la carta del referendum per determinare l'assegnazione della città».
Sono queste condizioni su cui il Kurdistan non è disposto a negoziare?
«Se le condizioni dei curdi non verranno accettate - uno Stato laico, un libero referendum su Kirkuk, il controllo delle nostre risorse naturali (tra cui il petrolio, ndr.), il riconoscimento del nostro esercito - la nostra gente rifiuterà la nuova Costituzione irachena».
E' questo che vi chiede la gente a Nord?
«E' questo che ha chiesto con il voto libero di gennaio. Un giorno storico per tutto l'Iraq e soprattutto per i curdi, perché con quell'atto abbiamo gettato le basi di uno Stato federale, democratico e unito. E gli iracheni hanno risposto con entusiasmo».
Un entusiasmo marcato, proprio a Nord, anche dal referendum informale sull'indipendenza del Kurdistan. Quanto è stato importante quel voto?
«Molto: 2 milioni di curdi hanno votato e il 96 per cento di costoro ha chiesto la separazione dall'Iraq. Se siamo riusciti a persuaderli ad essere parte di un nuovo Iraq, oggi questa gente deve credere che i suoi diritti vengano rispettati».
Il sogno dell'indipendenza curda si fa più vicino?
«Spero un giorno di vederla, nella mia vita, l'indipendenza del Kurdistan. Ma oggi dobbiamo avere a che fare con la realtà. Quando sarà il momento, davvero non saprei dirlo adesso».
Con l'altro leader curdo, Jalal Talabani, oggi presidente iracheno, un tempo nemico e poi alleato, il dialogo continua a funzionare?
«Continuiamo a cooperare anche dopo le elezioni. Noi curdi sosteniamo ora la creazione di uno Stato federale. Non islamico. Il federalismo, non uno Stato confessionale, è la soluzione migliore per questo paese».
«Posso dire quello che ho riferito di recente ai costituenti iracheni a Bagdad e ai 111 membri del Parlamento autonomo curdo: il nostro è un secco no a uno Stato modellato sui principi islamici».
Dunque un no agli americani e al loro ambasciatore Zalmay Khalilzad che preme per l'approvazione della Carta e chiude un occhio sulla definizione di "Repubblica islamica"?
«Noi rispettiamo tutte le posizioni. Ma non accetteremo compromessi su quelli che riteniamo siano nostri diritti. I curdi si battono per un Iraq nuovo, federale e democratico. Cercheremo di far valere le nostre posizioni e non arretreremo di un passo. Non accetteremo che l'Iraq diventi uno Stato islamico».
Da mesi ormai voi curdi non sembrate più andare d'accordo con gli americani. È vero?
«L'alleanza con gli Stati Uniti è stata fondamentale. Con il loro aiuto siamo riusciti a vincere la guerra e a cacciare Saddam Hussein. Ma oggi la diplomazia Usa deve comprendere le nostre esigenze. Quel che ripetiamo comunque agli americani e alla coalizione internazionale è di rimanere in Iraq. Perché un ritiro, a questo punto, sarebbe un disastro».
I curdi appaiono però i più duri a resistere alle pressioni provenienti anche da sciiti e sunniti. A che cosa puntate?
«Alla concessione di un'ampia autonomia territoriale e a uno Stato preferibilmente laico. Questa è la mia posizione. Ma non c'è accordo tra i membri dell'Assemblea costituente».
Ambienti molto vicini al leader curdo rifiutano le accuse di ritardare la firma della Costituzione, e criticano piuttosto le posizioni di alcuni politici arabo sunniti considerati alla stregua di nostalgici del regime di Saddam Hussein. L'accordo in realtà non sembra mai esserci stato tra le diverse regioni dell'Iraq.
Il Nord da lei rappresentato, oggi che cosa vuole?
«I curdi hanno accettato di far parte dell'Iraq anche se la nostra gente vuole l'indipendenza e l'autodeterminazione. Dietro questo sacrificio chiediamo che le nostre condizioni siano garantite».
Quali?
«La questione del rientro dei profughi fuggiti durante il regime di Saddam, e poi quella dei peshmerga».
I combattenti che «guardano la morte in faccia»: che cosa chiedete per loro?
«Che non vengano disarmati. La milizia non deve essere sciolta per integrarla nell'esercito centrale iracheno. I peshmerga devono restare a difendere il Nord del paese».
C'è infine la questione di Kirkuk, città che tutti vogliono perché affonda nel petrolio. L'altro giorno si è tenuta una grande manifestazione di sunniti e sciiti, scesi in piazza a protestare contro l'opzione federalista, mostrando cartelli dove campeggiavano scritte come "Sì all'Islam, no al frazionamento" e "Kirkuk è irachena". E un problema destinato a rimanere irrisolto?
«E' un problema che non si risolve con le minacce. Kirkuk è una città irachena. Ma anche curda. E la gente del Kurdistan ha il diritto di scegliere liberamente. I curdi giocheranno la carta del referendum per determinare l'assegnazione della città».
Sono queste condizioni su cui il Kurdistan non è disposto a negoziare?
«Se le condizioni dei curdi non verranno accettate - uno Stato laico, un libero referendum su Kirkuk, il controllo delle nostre risorse naturali (tra cui il petrolio, ndr.), il riconoscimento del nostro esercito - la nostra gente rifiuterà la nuova Costituzione irachena».
E' questo che vi chiede la gente a Nord?
«E' questo che ha chiesto con il voto libero di gennaio. Un giorno storico per tutto l'Iraq e soprattutto per i curdi, perché con quell'atto abbiamo gettato le basi di uno Stato federale, democratico e unito. E gli iracheni hanno risposto con entusiasmo».
Un entusiasmo marcato, proprio a Nord, anche dal referendum informale sull'indipendenza del Kurdistan. Quanto è stato importante quel voto?
«Molto: 2 milioni di curdi hanno votato e il 96 per cento di costoro ha chiesto la separazione dall'Iraq. Se siamo riusciti a persuaderli ad essere parte di un nuovo Iraq, oggi questa gente deve credere che i suoi diritti vengano rispettati».
Il sogno dell'indipendenza curda si fa più vicino?
«Spero un giorno di vederla, nella mia vita, l'indipendenza del Kurdistan. Ma oggi dobbiamo avere a che fare con la realtà. Quando sarà il momento, davvero non saprei dirlo adesso».
Con l'altro leader curdo, Jalal Talabani, oggi presidente iracheno, un tempo nemico e poi alleato, il dialogo continua a funzionare?
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