Da La Repubblica del 06/08/2005

Un appello ai kamikaze

di Renzo Guolo

PUNTUALE, e attesa, ricompare la leadership storica di Al Qaeda. Il nuovo video di Ayman al-Zawahri offre conferme e qualche novità. La scenografia in cui l'ideologo egiziano lancia i suoi moniti è nota. Un telo di iuta per mascherare il luogo in cui si trova e accecare così i cacciatori di indizi dei servizi di mezzo mondo; il fedele kalashnikov, simbolo della lotta armata del "partito di Dio", al suo fianco. Anche se, sorprendentemente per i canoni arabi, il numero due di Al Qaeda inverte i consueti colori di turbante e camice. Tocco estetico, usanza del luogo o segnali in codice? In ogni caso un'immagine che conferma l'avvenuta separazione, non solo fisica, ma anche di ruoli, tra Zawahri e Bin Laden. Il primo, ideologo e leader politico-militare di un esercito combattente da cui pur è tagliato fuori; il secondo, che il medico egiziano, omaggia nuovamente del titolo di shaykh, ormai eretto a leader spirituale di Al Qaeda.

Del resto il video dello scorso ottobre in cui il redivivo Osama era ricomparso testimoniava, anche simbolicamente, questo passaggio di consegne. Nell'occasione Bin Laden aveva parlato come una sorta di nuovo califfo e le sue vesti rimandavano a quella voluta regalità del potere. Certo, un escamotage per un leader braccato e in fuga; ma la forza di quel messaggio era anche nel veicolare un significato tacito ma chiaramente comprensibile al gruppo sociale cui si rivolgeva.

La continuità è anche nel contenuto del messaggio di Zawahri: le consuete minacce all'America e l'evocazione dello spettro di un nuovo Vietnam. Terribilmente efficace nei giorni in cui i marines registrano ventuno caduti nella sola provincia di Anbar, facendo salire a oltre 1.800 le perdite subite dalle forze armate dall'inizio della guerra. Perdite che scuotono sempre più un'opinione pubblica americana che nutre crescenti dubbi sulla conduzione della guerra al terrore da parte dell'amministrazione Bush. Zawahri, che continua a rivolgersi non tanto alle leadership politiche di Usa e Gran Bretagna quanto ai cittadini americani e inglesi, indica il ritiro dall'Iraq e dall'Afghanistan come la sola soluzione capace di porre fine a nuovi lutti. Anche se, significativamente, nel messaggio è l'Iraq a fare la parte del leone. Non solo per la sua oggettiva importanza nello scenario islamista; ma anche come esplicito riconoscimento della diretta presenza di "Al Qaeda nel paese dei Due Fiumi". Presenza stabilizzata per effetto dell'incorporazione, sotto i vessilli di Al Qaeda, del gruppo di Zarqawi. Zawahri ammonisce propagandisticamente che il ritiro delle truppe della coalizione è ineluttabile: gli americani devono solo scegliere se farlo subito o in futuro, ma a un prezzo molto più alto in termini di vite umane. Una profezia che i fatti sembrano, purtroppo, far avverare.

Infine il messaggio a Tony Blair. Il leader egiziano, annunciando nuovi attentati se non vi saranno mutamenti nelle scelte di Downing Street, collega direttamente gli attentati di Londra, in particolare quelli del 7 luglio, alla politica di Blair. Anche se non rivendica direttamente le stragi della Tube. Impresa difficile, vista la natura e la composizione del commando. In ogni caso, nel solo menzionarle, mette un sigillo sul "sacrificio" dei "ragazzi di Leeds". A conferma che Al Qaeda, priva di un'organizzazione centralizzata in grado di pianificare azioni contro il "nemico lontano", è sempre più una realtà diffusa e poliforme. Sulle cui spontanee "operazioni di martirio" la leadership storica si limita a mettere a posteriori il suo marchio. Riconducendo idealmente a unità le singole azioni messe in atto da gruppi locali. Gruppi che, anche in assenza di diretti contatti tra loro, hanno in comune la medesima ideologia e la medesima figura del Nemico.

Sul piano politico Zawahiri rinnova poi l'offerta di tregua lanciata da Bin Laden in autunno. A conferma che, nel pensiero delle tappe che governa la strategia dell'ideologo di Al Qaeda, consapevole delle fasi di forza e debolezza del movimento radicale, la tregua serve a riorganizzare la rete. A ricostituire quel comando centrale che permette di rendere meno episodico l'attuale ciclo del Jihad. Una fase che, pur infliggendo duri colpi al Nemico, soffre inevitabilmente del suo carattere spontaneistico e non definisce una gerarchia degli obiettivi. Condannato dal suo rifugio a governare la diffusa macchina da guerra jihadista, l'ideologo egiziano cerca, con la sua ricorrente presenza in video, di ricordare alla "gente del fronte" che il qaedismo non può prescindere da Al Qaeda.

Zawahri si sofferma, come di consueto, anche sulla Palestina. Non solo per ribadire il linkage tra sicurezza occidentale e questione palestinese. Ma anche per mettere in guardia i palestinesi dal seguire il "secolarista" Abu Mazen e l'Anp. Una dichiarazione di nemmeno tanto indiretto sostegno a Hamas e alla Jihad islamica, nemici dichiarati di Israele. Se non nei confronti di quella stessa fazione palestinese di Al Qaeda che alcuni danno in costruzione tra Gaza e Cisgordania. Un tentativo sin qui andato a vuoto anche per il carattere islamonazionalista delle due formazioni del campo islamista locale.

Nel video l'Italia non è menzionata. Ma sarebbe un illusione pensare che quel riferimento ai "popoli della coalizione crociata" non ci riguardi. Nessuna sicurezza, ribadisce Zawahri, è garantita ai popoli di quei paesi sino a quando gli "infedeli" non lasceranno le terre della Casa dell'Islam. E Afghanistan, dove abbiamo assunto in questi giorni il comando della missione Isaf, e Iraq sono parte integrante di quella Casa. Anche a noi ha parlato l'ideologo del terrore nel suo agghiacciante silenzio.

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