Da Corriere della Sera del 09/06/2005
Dopo lo scandalo del Corano. «Ma non rimanderemo a casa i più pericolosi»
Ora Bush non esclude di chiudere Guantanamo
«Stiamo studiando alternative per proteggere l’America»
di Ennio Caretto
WASHINGTON - Il presidente Bush non esclude di chiudere Guantánamo. Lo ha indicato all'improvviso ieri, senza dirlo espressamente, in una intervista alla tv Fox . «Studiamo tutte le alternative su quale sia la cosa migliore da fare per raggiungere il nostro principale obbiettivo, proteggere l'America», ha risposto. E sia pure in modo ambiguo, lo ha confermato il suo portavoce Scott McClellan: «Quando si parla di detenuti, noi esaminiamo sempre quali possibilità ci siano». Ma il presidente e il portavoce hanno anche segnalato che Guantanamo potrebbe rimanere aperto per i prigionieri più pericolosi: «Non vorremmo rimandare nei loro Paesi persone che costituiscono una minaccia per l'America», ha ammonito Bush. «E' importante imparare ancora di più su di loro. E' gente che intende farci comunque del male», ha aggiunto McClellan.
Nell'intervista, una sorpresa per un'America divisa che ormai s'interroga su Guantánamo, Bush ha difeso la condotta dei militari Usa accusati di profanazione del Corano, uno scandalo che ha provocato un'ondata di odio nell'Islam. «Voglio assicurare gli americani che i detenuti sono sempre trattati in sintonia con le convenzioni di Ginevra sui prigionieri di guerra», ha sostenuto il presidente. «Dico in sintonia perché non sono soldati in senso stretto, non portavano una divisa, non erano inquadrati in uno stato, si nascondevano nei monti dell'Afghanistan o erano terroristi». Bush ha smentito altresì che Guantánamo faccia parte di un Gulag americano, come affermato da Amnesty international, l’associazione dei diritti umani. «E' assurdo fare un paragone del genere. Non ci andiamo neppure vicino. Da noi gli incidenti sono subito investigati e i colpevoli vengono puniti. Noi rispettiamo la legge». Con le sue dichiarazioni, il presidente non ha voluto solo confutare il senatore democratico Joe Biden, il primo leader politico a chiedere la chiusura di Guantanamo, sulla scia di un duro editoriale del New York Times . Ha anche voluto rispondere all'ex presidente Jimmy Carter, anch'egli democratico, premio Nobel della pace, che martedì a una conferenza ad Atlanta aveva criticato il campo di prgionia a Cuba. «Nonostante le asserzioni di Bush che l'America è decisa a promuovere la libertà e la democrazia nel mondo - aveva protestato Carter - la nostra reputazione di campioni dei diritti umani continua a ricevere terribili colpi dai rapporti sugli abusi dei detenuti a Guantánamo, in Iraq e in Afghanistan».
L'ex presidente aveva consigliato un graduale smantellamento di Guantanamo e una parallela tutela di tutti i carcerati: «Bisogna consentire loro di comunicare con le famiglie e sottoporli a processo con tutte le tutele previste dalla nostra costituzione».
Su questi punti, Bush non si è pronunciato. Il fatto che dopo tre anni e mezzo i prigionieri non abbiamo ricevuto visite e non siano stati incriminati ha messo tuttavia a disagio la maggior parte degli americani. E lo scandalo del Corano li ha spinti a un esame di coscienza che ieri, in un sondaggio del Washington Post , si è tradotto in una presa di distanza dal presidente. Per la prima volta, una netta maggioranza ha affermato che la guerra al terrorismo e la guerra dell'Iraq non hanno reso più sicura l'America, e che il numero dei caduti Usa è inaccettabile.
Potrebbe essere l'inizio di una svolta simile a quella sul Vietnam 35 anni fa, che spinse il presidente Richard Nixon a ritirare le truppe. Sicuramente, ha commentato il politologo Stephen Hess, ha influito su quello che appare un ripensamento di Bush su Guantánamo.
L'inatteso intervento del presidente ha spiazzato il ministro della Difesa Donald Rumsfeld, il superfalco dell’Amministrazione, che aveva appena escluso la chiusura di Guantánamo. Reagendo alle domande dei giornalisti, Rumsfeld aveva seccamente proclamato che nel campo di prigionia «i detenuti sono trattati con il massimo rispetto e la massima umanità». E aveva concluso: «Non ho sentito discutere tale ipotesi da nessuno nell'Amministrazione, e non ho sentore che se ne discuterà». Il ministro aveva anche ribadito che se qualcuno dei circa 540 detenuti fosse innocente, le indagini lo accerterebbero e verrebbe liberato.
Nell'intervista, una sorpresa per un'America divisa che ormai s'interroga su Guantánamo, Bush ha difeso la condotta dei militari Usa accusati di profanazione del Corano, uno scandalo che ha provocato un'ondata di odio nell'Islam. «Voglio assicurare gli americani che i detenuti sono sempre trattati in sintonia con le convenzioni di Ginevra sui prigionieri di guerra», ha sostenuto il presidente. «Dico in sintonia perché non sono soldati in senso stretto, non portavano una divisa, non erano inquadrati in uno stato, si nascondevano nei monti dell'Afghanistan o erano terroristi». Bush ha smentito altresì che Guantánamo faccia parte di un Gulag americano, come affermato da Amnesty international, l’associazione dei diritti umani. «E' assurdo fare un paragone del genere. Non ci andiamo neppure vicino. Da noi gli incidenti sono subito investigati e i colpevoli vengono puniti. Noi rispettiamo la legge». Con le sue dichiarazioni, il presidente non ha voluto solo confutare il senatore democratico Joe Biden, il primo leader politico a chiedere la chiusura di Guantanamo, sulla scia di un duro editoriale del New York Times . Ha anche voluto rispondere all'ex presidente Jimmy Carter, anch'egli democratico, premio Nobel della pace, che martedì a una conferenza ad Atlanta aveva criticato il campo di prgionia a Cuba. «Nonostante le asserzioni di Bush che l'America è decisa a promuovere la libertà e la democrazia nel mondo - aveva protestato Carter - la nostra reputazione di campioni dei diritti umani continua a ricevere terribili colpi dai rapporti sugli abusi dei detenuti a Guantánamo, in Iraq e in Afghanistan».
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Su questi punti, Bush non si è pronunciato. Il fatto che dopo tre anni e mezzo i prigionieri non abbiamo ricevuto visite e non siano stati incriminati ha messo tuttavia a disagio la maggior parte degli americani. E lo scandalo del Corano li ha spinti a un esame di coscienza che ieri, in un sondaggio del Washington Post , si è tradotto in una presa di distanza dal presidente. Per la prima volta, una netta maggioranza ha affermato che la guerra al terrorismo e la guerra dell'Iraq non hanno reso più sicura l'America, e che il numero dei caduti Usa è inaccettabile.
Potrebbe essere l'inizio di una svolta simile a quella sul Vietnam 35 anni fa, che spinse il presidente Richard Nixon a ritirare le truppe. Sicuramente, ha commentato il politologo Stephen Hess, ha influito su quello che appare un ripensamento di Bush su Guantánamo.
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