Da La Stampa del 05/06/2005
Originale su http://www.lastampa.it/_web/_P_VISTA/spinelli/archivio/spinelli050605.asp

Veri e falsi scettici

di Barbara Spinelli

I politici che dichiarano morta l’Europa politica, e ormai superata l’idea stessa di una carta costituzionale, si agitano molto in queste ore e parlano come se avessero vinto un’enorme battaglia. Si presentano come i più realisti, i più pragmatici, e anche i più vicini ai popoli che quest’Europa politica stanno mostrando di non volerla o di temerla. Non è nuovo, quest’eccitamento demolitore che si compiace degli insuccessi europei e che ha l’abitudine di smantellare sempre con grande convinzione e saccenteria ogni nuovo progetto di unità tra i paesi dell’Europa. In passato, i demolitori son stati regolarmente perdenti - non credevano in una riconciliazione postbellica tra Francia e Germania, e la nascita del Mercato Comune li ha colti alla sprovvista; non credevano nelle elezioni dirette del Parlamento europeo, e hanno dovuto ritrattare; non credevano né nell'opportunità né nella possibilità di una moneta unica, e l’Euro ora è moneta mondiale - ma ecco che i referendum in Francia e Olanda hanno dato loro le ali. In Italia un partito di governo - la Lega - accusa l’opera passata di Ciampi e propone di restaurare la lira uscendo dall’euro. La presidenza del Consiglio è in disaccordo ma non manca di giudicare l'Europa un vasto fallimento: perché troppo burocratica - spiega Berlusconi - e dotata di un euro troppo forte oltre che di troppe regole.

Il centro-destra va alle elezioni del 2006 scommettendo non poco sull'antieuropeismo. Intanto, in Europa, chi ne profitta è Londra, che da secoli sogna di tenere diviso il continente e che continua a sognarlo come se la storia fosse ferma dov'è ferma lei.

Non è scetticismo quello dei demolitori, perché l’uomo scettico ha la nobiltà di chi incessantemente cerca, dubita, smonta certezze acquisite e luoghi comuni. Il demolitore che in queste ore rialza trionfante la testa non ha il vigore asciutto del filosofo che non riconosce nulla per certo, che su tutto riflette, che osserva con sottigliezza la realtà (in quest’osservare sottile è la radice etimologica dello scetticismo). L’eurodemolitore è un dogmatico che si traveste da pragmatico, e in politica è un opportunista. Coltivava un’ideologia nazionale che la realtà ha smentito, e non esita a riproporla senza mutazioni. Da questo punto di vista è qualcuno che mente ai propri popoli, e mente in tutte le circostanze: quando difende la costituzione europea senza dire che essa inaugura una trasformazione degli Stati e dell’Unione, quando si mostra tutto sorpreso di fronte alle vittorie del no, quando si mette a inseguire le paure dei popoli, deducendo che i funerali d'Europa sono già cominciati. È questa menzogna sistematica e proteiforme che varrebbe la pena mettere in luce, se si vuol capire e osservare l’Unione con giusto scetticismo, cioè con vero senso della realtà.

Capire la forza demolitrice della menzogna non è un vaccino contro il declino dell’unità europea: solo nelle visioni storiche provvidenziali esistono vaccini che immunizzano. Nella storia fatta dagli uomini nulla è irreversibile, nessun disegno razionale è al riparo dall'irrazionalità, e sempre (accadde nel ‘14-’18) può scoppiare un disastro quando tutti sono arcipersuasi che il mondo stia vivendo la pace perpetua d'un dolce commercio tra cose e persone. Ma osservare sottilmente la menzogna aiuta chi vuol sforzarsi di correggersi, di ricominciare la storia deludente facendo tesoro degli errori commessi e capendo quel che è venuto meno nel progredire europeo. Quel che è venuto meno è un bene cruciale, cioè la fiducia: fiducia in una prosperità che migliori o si consolidi (a partire dagli Anni 90 apparve chiaro che i figli sarebbero stati peggio dei padri); fiducia che l'allargamento sarebbe stato fatto predisponendo un'Europa capace di esigere lealtà dai nuovi Stati e di darsi confini chiari; fiducia in governi che non avrebbero usato l'Europa per nascondere la loro inettitudine. L'Europa oggi ha una legittimità formale, non sociale.

La prima menzogna è quella del politico nazionale che difende l'Europa solo a parole, senza rinunciare a illudere gli elettori con la retorica d'uno Stato completamente sovrano. La realtà è un'altra, e non da oggi: lo spazio dell'Unione era in grandissima parte già comunitario e dunque sovrannazionale, ben prima che apparisse la costituzione. Fin dal '63-'64 v'è stata una radicale rivoluzione costituzionale, quando il diritto comunitario ha cominciato ad applicarsi direttamente e ad avere preminenza sui diritti nazionali. Ed è significativo che questa consistente unificazione giuridica sia avvenuta in concomitanza con il cataclisma del '65, quando Parigi rifiutò il voto a maggioranza e per un anno praticò, a Bruxelles, la politica della sedia vuota. Lo storico Joseph Weiler spiega bene come il movimento sia circolare: forti integrazioni giuridiche o economiche suscitano ogni volta ripiegamenti politici nazionali, e possenti ripiegamenti politici nazionali suscitano come rimedio integrazioni più ardite in campo giuridico o economico (Weiler, La Costituzione dell'Europa, Il Mulino 2003). Non si tratta quindi di scegliere tra identità nazionale ed europea. La prima è affiancata dalla seconda, che per il cittadino esiste già: l'ex presidente della Commissione Delors dice che l'80 per cento delle leggi economiche si fa ormai a Bruxelles.

La seconda menzogna s'incarna nella sorpresa dei governanti di fronte agli esiti dei referendum. In realtà non dovrebbero essere affatto sorpresi. Da quasi 30 anni - da quando le economie europee vacillano - essi hanno scelto l'Europa come capro espiatorio, e i popoli li hanno presi alla lettera. Era sempre colpa di Bruxelles, quando in patria occorrevano misure impopolari. «Ce lo chiede l'Europa», usano dire mesti i governi, quasi potessero fare quel che dicono di volere, se non lo vietasse il mostro sovrannazionale. Questa menzogna è incoerente con la prima, perché dilata furbescamente la potenza dell'Unione, rimpicciolendo furbescamente quella degli Stati. Prodi ha ricordato come non abbia senso ad esempio parlare di asfissia burocratica della Commissione: i suoi 25.000 impiegati sono un quarto dei dipendenti comunali a Madrid, e per l'allargamento a dieci paesi son stati mobilitati solo 3000 dipendenti. Quando conviene, la retorica sulla sovranità degli Stati si sfa, e questi son ritenuti del tutto impotenti. Quando Berlusconi dice che i mali di cui soffre l'Italia «non sono ascrivibili ai singoli paesi ma alla situazione generale» e a un euro troppo forte, dice bugie sull'Italia e sull'euro: sulla prima perché gli Stati hanno responsabilità che l'Unione non annulla, e sul secondo perché vi sono paesi che esportano bene nonostante l'euro forte (Francia e Germania).

La terza menzogna riguarda il deficit democratico dell'Unione. Certo è vero: man mano che l'integrazione procede, i cittadini si sentono più lontani dal potere. Ma oggi non è tanto l'Europa a soffrire una crisi di democrazia, quanto i paesi d'Occidente (Stati Uniti compresi) alle prese con un mondo sempre più unito, ma meno regolato e più pericoloso. Non avviare una seria riflessione sulla crisi delle democrazie rappresentative nelle nazioni, e non solo nell'Unione, è un ulteriore segno di furberia e opportunismo. Nella mondializzazione e nella difesa dal terrorismo urge ripensare i diritti e la serenità economica degli individui senza dar speranze in immunizzanti baluardi europei, ma ripromettendosi di cogliere le occasioni di controllo e contenimento delle minacce: questa verità viene poco democraticamente nascosta ai popoli.

La costituzione così com'è non sopravviverà, probabilmente. Era d'altronde un compromesso raffazzonato, perché non sfatava le menzogne. Ma dire che oggi naufraga la necessità stessa d'una costituzione è ennesima bugia. Non c'è nulla di rigido in un progetto costituzionale. Si può migliorarlo, renderlo più snello: stralciando forse la terza parte, che è troppo vincolante su politiche precise (come proposto da Fabius, il socialista divenuto antieuropeo ma anche, per anni e contro il parere inglese, da Prodi). Si possono salvare la dichiarazione dei diritti, il preambolo, il comune ministro degli Esteri, la personalità giuridica dell'Unione, le estensioni del voto a maggioranza e dei poteri del Parlamento europeo. Buttare lo sforzo fatto e il metodo democratico della Convenzione non sarebbe realismo. Non risponderebbe nemmeno alle aspirazioni dei popoli, perché la maggioranza dei no non crede nel ritorno alla grande illusione nazionalistica cara alle destre estreme di De Villiers e Le Pen, Maroni e Calderoli.

All'Europa gli elettori chiedono due cose, come s'è visto in Iraq e nei referendum. Chiedono non più la fine delle guerre fra europei (un bene che ormai possiedono) ma più sicurezza economica e più influenza internazionale. Sono delusi di non ottenere né l'una né l'altra. Prosperità e influenza internazionale sono i due fini per cui varrà la pena battersi, e la costituzione andrebbe difesa non come finalità ma come mezzo indispensabile a tali scopi. Se la Costituzione è l'unica finalità, i popoli la rifiuteranno perché si sentiranno gabbati.

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