Da Corriere della Sera del 31/01/2005

Bush: «Hanno respinto l’ideologia del terrore»

La Casa Bianca saluta la «storica impresa del popolo»

di Ennio Caretto

WASHINGTON - «Il mondo ode la voce della libertà venire dal centro del Medio Oriente». Così il presidente Bush ha salutato ieri con una dichiarazione di tre minuti il «chiaro successo» del voto iracheno che, ha sottolineato, «ha fermamente respinto l’ideologia del terrore». Gli ha fatto eco il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi. «Gli iracheni confermano oggi la loro volontà di sconfiggere il terrorismo e conquistare la libertà e la democrazia», ha detto il premier, definendo la giornata delle elezioni come un «successo che appartiene anche a noi, di cui dobbiamo essere sommamente orgogliosi» e dalla quale «esce vincitore tutto il popolo iracheno». Un appello agli iracheni per la riconciliazione è stato lanciato dal segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan che, congratulandosi con i cittadini per il successo delle elezioni, ha detto: «Ora è importante che tutti gli individui, gruppi o partiti, che non hanno preso parte al voto siano coinvolti nel processo di stesura della Costituzione».

In piedi dietro un leggio alla Casa Bianca, il presidente Bush, che ha rinunciato al fine settimana a Camp David per seguire le elezioni a Bagdad in diretta alla tv, ha elogiato «i coraggiosi patrioti che hanno rifiutato di farsi intimidire dagli assassini e hanno fatto avanzare la causa della pace e la democrazia». E dopo avere ricordato i caduti iracheni inglesi e americani di ieri, ha ringraziato l’Ue e l’Onu «per l’importante assistenza», e gli altri membri della coalizione e l’America «per la risolutezza e pazienza dimostrate».

Visibilmente incoraggiato dal voto nonostante il sangue versato, il presidente ha però evitato di abbandonarsi al trionfalismo. «Il nostro impegno continua - ha ammonito -. Il terrorismo continuerà a fare guerra agli iracheni e noi continueremo ad appoggiarli in modo che la loro democrazia nascente possa reggersi da sola». E congratulandosi una seconda volta con l’Iraq «per la storica impresa», Bush ha assicurato che «risponderà a ogni sfida», escludendo così un possibile disimpegno. Poco prima, alla tv, il segretario di Stato Condoleezza Rice aveva manifestato la stessa cautela. Le elezioni sono andate meglio del previsto, Bagdad ha compiuto «un enorme passo avanti», aveva detto. Il Medio Oriente «ha la prova che i principi democratici non appartengono all’Occidente, sono valori universali». Ma aveva aggiunto: «Ci aspettano giorni molto difficili, le nostre truppe non potranno andarsene finché non avranno portato a termine la missione».

L’amministrazione ha proclamato vittoria ma ha minimizzato le aspettative per vari motivi. Nel triangolo sunnita la gente non ha quasi votato, il fondamentalismo sciita potrebbe causare altri problemi, qualcuno teme interferenze dell’Iran. Per il senatore democratico John Kerry, l’avversario di Bush alle elezioni americane, «non è facile definire legittimo il processo», e tutto dipenderà dalle decisioni del presidente Bush e del nuovo governo iracheno nei prossimi giorni. Secondo il Washington Post , tuttavia, l’amministrazione Usa sta preparando una exit strategy , una graduale via di uscita. Il giornale, che ha attinto le sue informazioni al Pentagono e al Congresso, scrive che entro la primavera incomincerà il ritiro dei 15 mila uomini in più mandati in Iraq per il voto; che altre migliaia si dedicheranno all’addestramento delle forze irachene; che le aree più sicure nel Nord curdo e nel Sud sciita verranno affidate ai locali.

Questo piano a macchia di leopardo significa però solo che le truppe Usa continueranno ad operare nelle zone più pericolose e altrove ridurranno la visibilità al minimo. Non comporta l’inizio del disimpegno vero e proprio: esso è rinviato - se le condizioni lo permetteranno - a dopo che l’Iraq avrà varato la Costituzione e tenuto nuove elezioni a dicembre, di fatto ai primi del 2006. Nella seconda metà di quest’anno i soldati Usa potrebbero scendere sotto il livello di 120 mila considerato oggi necessario dal Pentagono, e Bush potrebbe perciò dire che non è più occupazione, bensì assistenza. Ma il presidente intende prima accertarsi che l’insurrezione si attenui, sia ridotto il terrorismo e non sorgano altri problemi. In particolare, la permanenza delle truppe Usa gli serve anche da monito all’Iran.

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