Da La Repubblica del 31/05/2005

Dura risposta della Cina alle misure annunciate da Ue e Usa: "Non hanno base legale"

Tessile, contrattacco cinese Italia nel mirino di Pechino

"Con il protezionismo tradite Marco Polo". Export, stop ai dazi

di Federico Rampini

PECHINO - Stretta d'assedio dall'offensiva protezionistica americana ed europea, la Cina avvia il contrattacco. Lo fa da superpotenza, lanciando una prima serie di contromisure, avvertimenti e velate minacce, a cui potrà seguire dell'altro: la sua capacità di infliggere danni è ormai poderosa. Ieri il governo di Pechino ha cominciato coll'abolire le tasse all'export che aveva introdotto appena cinque mesi fa su 79 prodotti del suo tessile-abbigliamento. Quelle tasse erano una concessione a Europa e Stati Uniti. Prelevando imposte all'uscita la Cina penalizzava da sola i propri prodotti, per renderli un po' meno competitivi e moderare il boom delle vendite all'estero: un boom che si è verificato a partire dal primo gennaio di quest'anno quando sono venute meno le barriere al commercio internazionale sui prodotti tessili. Ma visto che nelle ultime settimane Washington e Bruxelles hanno varato per conto loro misure di limitazione contro alcuni prodotti cinesi, la Cina ritira il gesto di conciliazione.

Non ne vede più la ragione, visto che i paesi ricchi si proteggono da sé. Per difendere le ragioni cinesi ieri il ministro del Commercio Bo Xilai si è esibito in una lunga conferenza stampa, una dettagliata requisitoria contro il protezionismo euro-americano. Ivi compresa una bordata di critiche molto specifiche, e insolitamente esplicite, contro l'Italia. «L'Italia si è distinta - ha detto il ministro - tra i paesi più attivi nel promuovere l'azione dell'Unione europea contro di noi. E' un calcolo sbagliato. I vostri imprenditori dovrebbero essere più lungimiranti. Se Marco Polo tornasse fra voi sarebbe sorpreso e deluso nel vedere che chiudete le vostre frontiere ai prodotti cinesi di buona qualità e di basso prezzo». All'ironia Bo Xiliai ha aggiunto avvertimenti più severi, un'indicazione chiara del danno che l'Italia può infliggersi se continua la campagna anti - cinese: «Da anni il commercio bilaterale tra i due paesi si sviluppa con beneficio reciproco. Noi vi vendiamo prodotti tessili, ma importiamo i vostri macchinari tessili. Visto che voi siete leader mondiali in quei macchinari, chi è il vostro cliente migliore? La Cina. I dirigenti dell'economia italiana sbagliano a fissarsi sul tessile, che rappresenta solo un terzo del nostro commercio reciproco». Infine il ministro del Commercio ha fatto una previsione: «L'industria italiana del tessile-abbigliamento deve ristrutturarsi, e una parte lo ha già fatto. Se chiudete al made in China finirete comunque coll'importare da altri, non sarete più voi a produrre».

A Unione europea e Stati Uniti, l'esponente del governo ha detto che le recenti misure contro il made in China «mancano di una base legale, perché non è stato dimostrato che l'aumento delle vendite cinesi vi abbia causato danni importanti». Le forti percentuali di aumento dell'export (+250% verso gli Stati Uniti, +82% verso l'Europa), sono «la normale conseguenza di una transizione, dopo un periodo di distorsioni che avevano impedito il libero commercio mondiale». Bo Xilai si riferiva al sistema delle quote, in vigore per decenni sotto l'accordo multi-fibre: una gabbia che limitava rigidamente l'ingresso di prodotti tessili dai paesi emergenti sui mercati dei paesi ricchi. Quella gabbia è stata abolita all'inizio del 2005, in virtù degli accordi firmati in seno all'Organizzazione del commercio mondiale (Wto) oltre dieci anni fa.

«A noi ci vollero 15 anni per essere ammessi nel Wto - ha detto il ministro - e i negoziati furono aspri. La decisione del nostro ingresso fu il risultato di un equilibrio tra diritti e obblighi. In cambio dell'apertura del nostro grande mercato interno, come ricompensa ci fu dato l'accesso ai vostri mercati per la nostra industria tessile. Se europei e americani avessero usato i dieci anni di preavviso per prepararsi gradualmente alla liberalizzazione del commercio tessile, non saremmo a questo punto. Il boom del made in China lo avete provocato voi, mantenendo le barriere in vigore fino all'ultimo, per poi aprirvi di colpo. Ora si scopre che avete un doppio standard: dove siete forti voi ci chiedete di aprire i nostri mercati, dove siete deboli ci chiudete i vostri. Sventolate le bandiere dell'economia di mercato solo quando vi conviene, pronti a fare il contrario appena i paesi emergenti diventano competitivi».

Bo Xilai è stato attento a non scoprire le carte sulle mosse future di Pechino. Dopo l'abolizione delle tasse sui 79 prodotti, non ha annunciato quale potrà essere il prossimo colpo. Ha insistito sul fatto che la Cina «ha dei diritti legali, e li farà valere» in seno al Wto, l'arbitro delle contese sugli scambi internazionali. Ha ricordato che la Cina ha molti alleati, anche in seno agli organismi internazionali: il Wto e il Fmi hanno condannato il protezionismo euro-americano, ammonendo sui rischi di una guerra commerciale che precipiterebbe l'economia mondiale in una recessione. Bo Xilai ha detto che se i paesi ricchi lamentano i costi sociali della concorrenza cinese, le misure protezionistiche varate da Washington e Bruxelles «a noi costano 160.000 posti di lavoro e 2,3 miliardi di dollari, in un settore industriale portante della nostra economia che occupa 19 milioni di lavoratori». Non ha indicato specifiche rappresaglie, ma ha fatto un chiaro accenno alle industrie europee che hanno più da perdere se Pechino si chiude a sua volta: «Occupatevi di investire di più nella ricerca e sviluppo, negli Airbus, nelle tecnologie avanzate, invece di litigare con noi su scarpe calzini e magliette». Ha anche tenuta aperta la porta ai negoziati: «Da quando siamo membri del Wto abbiamo mostrato di saper risolvere molti problemi attraverso il dialogo». Quello con l'Europa entra nella fase cruciale: restano dieci giorni di tempo per trovare qualche compromesso sulla limitazione del made in China, scaduti i quali entreranno in vigore le quote massime (+7,5% annuo) annunciate da Bruxelles su due categorie di prodotti, T-shirts e filati di lino. La barriera europea, in base alle regole del Wto, comunque potrà durare al massimo fino al 2008. Due anni e mezzo, che l'industria tessile europea e italiana dovrebbe cercare di utilizzare meglio degli ultimi dieci.

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