Da La Repubblica del 01/06/2005

La sinistra francese e il peso di quel No

di Marc Lazar

La sconfitta è generalmente orfana, mentre la vittoria suscita numerose rivendicazioni di paternità. Ma in Francia, da domenica sera, i perdenti sono facilmente identificabili. Innanzitutto l'Europa. Certo, il processo di ratifica andrà avanti; ma il suo rifiuto da parte di una schiacciante maggioranza di francesi, dopo un intenso dibattito e una quasi storica mobilitazione dell'elettorato, peserà molto sul futuro dell'Europa. La Francia, Paese fondatore della Comunità economica europea, ha massicciamente deciso di non proseguire questa nuova tappa dell'integrazione, esprimendo la sua diffidenza per il modo in cui viene attuata. Nonostante le dichiarazioni europeiste dei responsabili di sinistra schierati per il "no", il significato del 29 maggio 2005 è che in Francia l'Europa ha perso il suo dinamismo. E che la Francia si ritrova indebolita rispetto ai suoi 25 partner.

Seconda vittima: il presidente Jacques Chirac, che ha voluto questo referendum, certo di prevalere e convinto di mettere in difficoltà la sinistra. La sua credibilità è menomata, a livello sia europeo sia internazionale, e a questo punto tutti i francesi attendono, più o meno pazientemente, la fine della legislatura, di qui a due anni, sapendo che gli sarà molto difficile proporsi per un terzo mandato. Infine, il Partito socialista è in uno stato di vera devastazione: mentre i suoi iscritti avevano optato per il "sì" con una maggioranza molto vicina al 59 per cento, ora il 60 per cento del suo elettorato ha votato "no". La vittoria del "no" è stata rumorosamente celebrata da quella parte della sinistra che ne rivendica la responsabilità e l'esclusiva; dimenticando però di dovere l'ampiezza del proprio successo anche alla destra sovranista, all'estrema destra e ad altri protestatari senza una precisa collocazione politica.

La sinistra francese esce da questo voto profondamente e durevolmente divisa. I comunisti, i trotzkisti e la parte più radicale del Partito socialista hanno incontestabilmente vinto. Il loro successo presenta tre aspetti principali, il primo dei quali è sociale. I ceti popolari, che regolarmente si astengono, stavolta sono andati ai seggi elettorali per far sentire la loro voce: quella dei piccoli, della «gente da poco», secondo la formula di Pierre Sansot, un sociologo francese recentemente scomparso che provava per loro un'immensa simpatia, contrapponendoli ai «grossi», ai «potenti», alle élite, ai «politici», ai partiti di governo, ai «dominanti», a «Bruxelles» in breve, a chiunque essi ritengano responsabile del degrado delle loro condizioni di lavoro e di vita, della loro miseria e mancanza di prospettive, di un insopprimibile senso di abbandono e di esclusione. Il 52 per cento degli elettori che hanno votato contro la Costituzione lo hanno fatto in funzione della situazione economica e sociale del Paese. Stavolta, la novità sociologica è data dal fatto che una parte dei ceti medi si è associata a questo coro di proteste. Ma la vittoria del "no" a sinistra ha anche una dimensione ideologica: quella di un connubio esplosivo tra quanto resta della passione comunista, del gusto della rottura, del bisogno di utopia, della speranza di un mondo nuovo, e la difesa degli interessi corporativi di chi si sta meglio, il ritorno al protezionismo, l'attrazione del sovranismo, la diffidenza verso l'Europa, la paura dell'altro.

La Francia è uno strano Paese, fortemente coinvolto nella globalizzazione, che però al tempo stesso la condanna, così come rifiuta l'economia di mercato e taccia di oscenità sia il liberalismo sia il liberismo. Quella sinistra si compiace in una cultura del "no", senza mai indicare soluzioni credibili. Le importa solo di rifiutare, non di costruire. E per di più si esalta all'idea di poter dare ancora una volta l'esempio, come già nel 1789, all'intero pianeta. Replicare la scena della rivoluzione e della rottura, a beneficio non solo dei francesi ma dell'umanità tutta: è questo uno dei moventi della sua azione, e un elemento della sua mitologia.

Infine, questo trionfo ha un risvolto politico. Ha dato inizio a un terremoto di cui nessuno può prevedere gli sviluppi. Mentre il 92 per cento dei parlamentari, la maggioranza dei dirigenti dei principali partiti e il grosso degli editorialisti hanno approvato il Trattato costituzionale, il 55 per cento dei francesi lo ha respinto. Si è così approfondita la crisi della democrazia rappresentativa, già emersa in piena luce nel 2002, quando Jean Marie Le Pen, leader dell'estrema destra, arrivò a presentarsi al secondo turno delle presidenziali. A destra, la battaglia per le prossime elezioni presidenziali è già cominciata. E provocherà guasti gravissimi. A sinistra, questo voto contro il sistema scuote sia il partito socialista che i Verdi. I trotzkisti sturano champagne, il Partito comunista francese risuscita come Lazzaro, i socialisti di sinistra si preparano all'abbordaggio del loro partito e Laurent Fabius ritiene di avere ormai alle spalle una tappa importante per realizzare il sogno, coltivato, sembra, fin dalla più tenera giovinezza, di diventare presidente della Repubblica. Ma forse, a più lungo termine quella della sinistra protestataria e radicale è solo una vittoria di Pirro. La postulata rinegoziazione del Trattato appare improbabile, se non impossibile. I vincoli del sistema politico sono forti, e le prossime scadenze restano quelle delle elezioni presidenziali e legislative del 2007 – salvo il caso di una crisi eccezionale e di vasta portata, che sconvolgerebbe questo calendario.

È difficile immaginare, in una circostanza del genere, la nascita di un partito unico, e persino la conclusione di accordi elettorali fra trotzkisti, comunisti, socialisti di sinistra, altermondialisti e Laurent Fabius con i suoi amici. Un vento ideologico di radicalizzazione soffierà con accresciuto vigore sulla sinistra francese, accentuando la singolarità della sua posizione in Europa. Cosa che, paradossalmente, rischia di regalare un'altra volta la vittoria alla destra. Frattanto, però, tutto può accadere, nei giorni, nelle settimane e nei mesi a venire, a cominciare da poderosi moti sociali di tutte le categorie sofferenti o arrabbiate (servizi pubblici, impiegati, operai, agricoltori, insegnanti, studenti eccetera) che vedono il presidente e la sua maggioranza a terra, le istituzioni tradizionali indebolite e il dissesto delle consuete modalità di regolamento dei conflitti sociali e politici. In mancanza di una risposta adeguata, la critica del "sistema" rischia di inasprirsi pericolosamente. Pochi giorni prima del voto, in occasione di un dibattito a Parigi, Mario Monti ha concluso la sua perorazione in favore del "sì" prevedendo che la Francia, Paese della logica, avrebbe approvato la Costituzione. Ma dimenticava che questo è anche il Paese degli psicodrammi e delle rivoluzioni.
Annotazioni − Traduzione di Elisabetta Horvat.

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