Da La Repubblica del 01/06/2005

La relazione annuale del governatore della Banca d'Italia: squilibri strutturali e di lunga data, occorre ritrovare la fiducia

"Crescita zero e deficit al 4% serve un nuovo patto sociale"

Fazio: imprese troppo piccole e poco innovative

di Elena Polidori

ROMA - L'industria? Piccola, poco tecnologica, costosa, non competitiva e pure arretrata. Un bel guaio per un'economia a crescita zero che inevitabilmente si ripercuote sui conti pubblici: deficit-Pil al 4% quest'anno, ben oltre le previsioni internazionali e quelle ufficiali. Solo le aziende di credito funzionano nell'analisi del governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, letta davanti al Gotha dell'industria e dell'economia, dopo un minuto di silenzio per i quattro militari morti in Iraq. Per il resto, «è necessario ritrovare la fiducia». Istituzioni, imprenditori e forze sociali «debbono reagire» e convergere su «obiettivi realistici» per riprendere la via dello sviluppo. Insomma, secondo Fazio serve un nuovo patto sociale.

Delle 34 pagine di relazione, che si apre con un inedito omaggio al Papa, neanche due sono dedicate alla finanza pubblica, pure quando il Paese è messo sul banco degli accusati. Il governatore sceglie una linea minima: «Squilibri strutturali e di lunga data», situazione dei conti «difficile». Per rimetterla in sesto non s'accenna a manovre bis ma a riforme strutturali che «migliorano le aspettative». Seguono una serie di numeri. Deficit 2001, l'anno in cui lui stesso pronosticava un nuovo miracolo economico, «al 3,2% dall'1,4 stimato». Nel 2002 si accentua «il deterioramento dei conti». Nel 2004 «anche per effetto di misure a carattere temporaneo», disavanzo al 3,2% e debito al 106,6% del Pil. In più, spesa pubblica in crescita: tra il 1994 e il 2000 l'incremento annuo è stato sotto l'1,2%; nell'ultimo quadriennio del 2,4%. E mentre le entrate scendevano dello 0,6% rispetto al Pil, la spesa corrente (per la gestione dello Stato) e quella per investimenti crescevano del 2,2%.

La crisi dell'industria e i suoi riflessi sull'economia, sono l'asse portante di queste Considerazioni finali, le tredicesime. L'analisi è durissima e suona come una risposta alle frecciate di Luca Cordero di Montezemolo che, l'altro giorno, ha pesantemente criticato la Banca d'Italia sul risiko bancario. Il punto di partenza del suo ragionamento suona così: «La competitività nei confronti dell'estero si conferma il punto di maggiore debolezza della nostra economia». Perciò: un indice di produttività che tra il 1995 e il 2000 è stato pressochè nullo (1% l'anno) contro il 3,2 della Germania, il 4,3 della Francia, il 3,9 degli Usa. Il gap produttivo, di recente, s'è pure ampliato, col risultato che «tra il 2000 e il 2004, la produzione industriale francese è aumentata dell'1,2%, quella tedesca del 2,6 mentre quella italiana è scesa del 3,8». Al tempo stesso, il costo del lavoro nella nostra industria manifatturiera è cresciuto del 12,6%, mentre in Germania è sceso del 2,8 e in Francia è salito del 2,6». Come se non bastasse le imprese soffrono di nanismo: nel 99% dei casi hanno meno di 50 addetti e il grosso dell'occupazione è concentrato «nei settori a basso contenuto tecnologico». Ci sono naturalmente «punte d'eccellenza e casi di successo», ma «non sono sufficienti a risollevare l'intero settore industriale». Funziona invece la delocalizzazione: le imprese con attività all'estero producono un valore aggiunto per addetto del 9% più alto. Occorre spendere di più per la ricerca: quella alimentata dai privati è appena lo 0,5% del Pil, contro l'1,7 dei tedeschi e l'1,4 dei francesi. Va ridotta l'Irap che aiuta la competitività.

Nell'Italia dipinta da Fazio, la produzione industriale, rispetto al 2000 è calata di oltre 5 punti percentuali mentre nel resto d'Eurolandia è aumentata del 4; il made in Italy non tira e le vendite all'estero ristagnano da cinque anni; si sta arrestando la crescita dell'occupazione, il lavoro è spesso precario e al Sud addirittura «nero». Ecco, in quest'Italia così, le difficoltà macro economiche finiscono per ripercuotersi sulla stessa società. E allora, per un attimo, il governatore abbandona il linguaggio tecnico e dice:«Il cattivo andamento dell'economia influisce negativamente sugli atteggiamenti dei cittadini nei confronti delle istituzioni, dei governanti, dei loro progetti».

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