Da Corriere della Sera del 31/05/2005

Senza fondi il Collegio del mondo unito, gli allievi allettati dai college Usa

I ragazzi-genio di Duino «rubati» dagli americani

di Gian Antonio Stella

TRIESTE - Il cinese Chen, il costaricano Juan, la rumena Violeta, il namibiano Pancho e altri ancora ce li ha soffiati l’università di Princeton, l’eritreo Tegen ce l’ha preso Earlham, la filippina Deanne e l’estone Lise e l’albanese Elira ce li ha rubati il Wesley College... Sono venuti a Trieste, hanno selezionato i ragazzi che gli parevano più brillanti e ce li hanno fregati sotto il naso. Dimostrando ancora una volta come, infognati nelle nostre ripicche e nei nostri bla-bla, non riusciamo a trattenere neanche la crema della crema dell’intelligenza studentesca mondiale che abbiamo sotto mano, al Collegio del mondo unito di Duino. Collegio che una politica scellerata ha ridotto con l’acqua alla gola. È andato avanti per anni, coi tagli, il governo berlusconiano. Come se i soldi dati alla prestigiosa scuola triestina potessero essere equiparati, in questi anni di vacche magre in cui bisogna risparmiare, ai finanziamenti clientelari per la sagra del merlo canterino, la festa delle orecchiette o la fiera dei ricci di mare. Alla faccia di tutte le chiacchiere sulla necessità di reagire alla perdita di competitività e al ritardo tecnologico, sull’obbligo di puntare sulla ricerca e di trattenere i cervelli perché non si sfilino uno dopo l’altro per andare all’estero.

Al punto che la scelta di tornare ai finanziamenti precedenti alle sforbiciate tremontiane, senza neppure l’adeguamento all’inflazione che come gli italiani sanno è stata micidiale, si trascina stancamente alle Camere nonostante sia appoggiato da una larga maggioranza trasversale ai due schieramenti.

Cosa sia il Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico, che si affaccia a Duino sul golfo di Trieste là dove passa il mitico sentiero costiero intitolato al più celebre dei soggiornanti che ci posarono il piede, il poeta Rainer Maria Rilke («Solitudine mia beata e santa / così ricca sei tu, pura ed immensa / come un giardino che si desti all’alba»), è presto detto. È una delle dieci sedi planetarie degli United World Colleges. Ce ne sono in Galles, a Singapore, negli States, in Canada, nello Swaziland, in India, in Australia... Nati da un’idea di lord Mountbatten, presieduti via via da personalità note come Carlo d’Inghilterra o Nelson Mandela (oggi tocca alla regina Nour, la vedova di Hussein di Giordania) i college sono una palestra di studio e di convivenza civile.

Paese per paese, i giovani vengono scelti a 16 anni per frequentare l’ultimo biennio delle medie superiori da commissioni che li valutano non solo sulla base della conoscenza delle lingue straniere o della pagella, che a volte può ingannare e far passare per un genio un secchione destinato ad arenarsi nella vita, ma di mille cose insieme. E generalmente i fortunati che vincono le borse di studio («Alcuni arrivano indossando l’unico vestito che posseggono - spiega il presidente Michele Zanetti -. E ci dobbiamo far carico anche di vestirli») sono davvero il meglio che c’è su piazza.

E che piazza! Dal 1982 ad oggi, al ritmo di cento nuovi arrivi e cento maturati l’anno per un totale di duecento ospiti fissi, il collegio di Duino ha ospitato studenti di 108 nazioni tra cui 2 afghani, 10 boliviani, 48 cinesi, 19 egiziani, 12 lituani, 4 mongoli, 5 nicaraguensi, 12 sudanesi, un uzbeko, 2 vietnamiti... Tutti insieme. Anzi, più i popoli di appartenenza sono in conflitto, più i ragazzi vengono mischiati. E il ceceno finisce in camera col russo, il palestinese con l’israeliano, l’hutu col tutsi... Una convivenza che non ha dato frutti solo dentro il college, ospitato nella stupenda foresteria del castello di Duino, ma perfino fuori. «In paese, che è di lingua slovena, il rapporto tra sloveni e italiani era pessimo. Le persecuzioni fasciste prima, le angherie titine e le foibe poi avevano lasciato ferite profonde», racconta Bojan Brezigar, che oggi dirige il Primorski Dnevik , il quotidiano della minoranza, e allora di Duino era il sindaco. «L’arrivo di quei ragazzi, tutti insieme, gialli e neri, biondi e mori, poveri e ricchi, poco a poco aiutò a far evaporare le tensioni. Il messaggio era troppo forte: siamo tutti diversi, siamo tutti uguali».

Uguali fino in fondo. Tutti. Infatti, oltre a studiare sotto la guida del rettore francese Marc Abrioux e di insegnanti reclutati in ogni parte del mondo (dalla Bulgaria al Cile, dalla Nuova Zelanda alla Gran Bretagna o alla Lettonia...) gli studenti sono tenuti ad alcune regole rigidissime. Ognuno deve prepararsi da sé la colazione, tenere in ordine la propria camera, lavarsi i propri vestiti. Compresi quei rari miliardari che ogni tanto capitano, come la figlia del re dei telefonini Nokia. Non bastasse, ognuno è tenuto a svolgere, con continuità, un’attività di volontariato. Con gli anziani, i disabili, i profughi... A farla corta: non devono solo essere dei geni della matematica o della chimica ma anche dei buoni cittadini.

Gli americani l’hanno capito. E fanno razzia. Mentre le nostre fondazioni bancarie investono in immobili o in mille altre cose, la fondazione di un fondo pensioni statunitense, per fare un solo esempio, butta 45 milioni di dollari nella caccia ai ragazzi più svegli del pianeta che studiano in college di questo tipo, li sceglie e offre loro una borsa di studio in California, nel Texas o in qualche altra parte degli States. Vengono a Duino, li pesano, li incantano, se li portano via. E noi, fatta eccezione per la Bocconi o il Sant’Anna di Pisa che qualche giovane asso riesce a trattenerlo, restiamo lì a guardare. A sparagnare sui libri e sulle rette e i computer. E a maledire le magliette cinesi da mezzo euro.

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