Da La Stampa del 10/05/2005
Originale su http://www.lastampa.it/redazione/news_high_tech/archivio/0505/opensour...

Tutti d’accordo che il software «aperto» fa risparmiare sui costi ma soprattutto accelera lo sviluppo

L’«open source» è diventato trasversale

E’ emerso la settimana scorsa al Senato che l’Italia è quasi assente dal mercato dei programmi proprietari

di Luca De Biase

L'Italia spende poco meno di 5 miliardi all'anno in licenze per il software. Una montagna di denaro, registrata dall'Eito, che impone una riflessione: perché non esiste solo il modello del software proprietario, per il quale appunto si pagano licenze salatissime, ma c'è anche il software open source, che è distribuito gratuitamente e in un numero crescente di casi svolge le medesime funzioni.

I critici osservano come l'open source imponga costi superiori a quelli del software proprietario per quanto riguarda l'installazione e la manutenzione: ma l'esempio cinese o brasiliano dimostra che l'open source può essere comunque preferito perché il suo modello privilegia le attività interne e riduce il deflusso di denaro verso l'estero. Al dibattito in materia, dal punto di vista politico ed economico, è stato dedicato un convegno organizzato dall'associazione EquiLiber al Senato, mercoledì 4 maggio scorso. Con risultati almeno in parte inattesi.

Fino a qualche tempo fa quello dell'open source era uno degli argomenti più controversi del mondo dell'informatica. Uno di quelli per i quali si combattevano delle vere e proprie guerre di religione. Ora invece sembra che metta quasi tutti d'accordo. Da entrambi gli schieramenti politici, per esempio, giungono dichiarazioni di grande interesse per un possibile aumento dell'utilizzazione di software aperto nella pubblica amministrazione. Il deputato di Forza Italia Antonio Palmieri, nel corso del convegno in Senato, ha vantato le molte decisioni prese dal governo in favore di una maggiore adozione dell'open source nelle amministrazioni dello stato.

E il senatore verde Fiorello Cortiana non ha avuto difficoltà a sostenere che quello dell'open source è il modello più adatto alla dinamica della società della conoscenza, rilanciando coerentemente le sue battaglie contro la brevettabilità del software e per il pluralismo informatico a garanzia dell'interoperabilità delle soluzioni adottate dalla pubblica ammininistrazione.

Insomma: l'open source sta diventando bipartizan. Anche perché i suoi sostenitori stanno perdendo progressivamente le loro connotazioni ideologiche. E acquisendo nel contempo una serie di caratteristiche molto pragmatiche.

Lo ha sostenuto al convegno del Senato Alberto Pellizzaro, partner della Deloitte Consulting, che ha mostrato come l'open source nella pubblica amministrazione vada pensato come una soluzione per risparmiare sui costi del software e contemporaneamente come uno strumento di politica industriale per favorire la nascita e la crescita di imprese italiane in un settore strategico. Ha rincarato la dose Mimmo Cosenza, fondatore di Sinapsi, contrapponendo i suoi dati a quelli di coloro che sostengono che il software proprietario è complessivamente meno caro di quello open source.

E ha terminato Francesco Sacco, professore di strategia aziendale alla Bocconi e all'università dell'Insubria, che ha dimostrato quanto il settore del software stia diventando il fondamento infrastrutturale di ogni altra industria e come quindi il modello open source vada pensato non solo come soluzione per il risparmio sui costi ma anche come acceleratore per lo sviluppo del sistema nel suo complesso.

L'Italia è quasi completamente assente dal mercato del software proprietario, mentre è il quarto paese al mondo per quanto riguarda la disponibilità di competenze sul software open source, dopo gli Stati Uniti. E questo è certamente un dato interessante. In ogni caso, un po' più di open source non può che far bene se introduce nuova competizione contro i giganti del software proprietario.

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