Da La Repubblica del 13/05/2005
L'Azienda Italia in retromarcia
Meno 0,5% il Pil, è recessione. Bruxelles: siete intrappolati
di Elena Polidori
ROMA - Recessione tecnica. Così gli esperti definiscono il secondo calo consecutivo trimestrale del Pil, l'indicatore che misura la ricchezza nazionale, sceso nei primi tre mesi dell'anno dello 0,5%, (meno 0,2% tendenziale). E' il peggior risultato dal 1998. E' un dato- shock, inatteso, «molto duro», secondo il Tesoro, che sorprende la Commissione Ue, disorienta e preoccupa la maggioranza, allarma l'opposizione: Silvio Berlusconi, invece, alla notizia, minimizza. La stima, lontanissima dall'obiettivo ufficiale dell'1,2%, non solo relega l'Italia ai margini di Eurolandia, ma per forza di cose finisce per aggravare la già precaria situazione dei conti pubblici, proprio quando il commissario Ue, Joaquin Almunia, pensa di aprire nei confronti del paese una procedura per deficit eccessivo: anche di questo si discuterà nel week-end a Lussemburgo, durante il vertice Ecofin dei ministri finanziari e dei governatori.
Fosse solo il Pil, con tutto quel che ne consegue, compresa l'ipotesi di una manovra bis, definita adesso «più certa» dalla Corte dei Conti. L'Italia accusa a marzo pure un brusco ribasso tendenziale della produzione industriale del 5,2%, (a livello congiunturale 0,6%) causato anche dalla battuta d'arresto del made in Italy: è il terzo segno meno consecutivo, il maggior calo da ottobre 2004. Il dato, corretto per i giorni lavorativi, evidenzia una perdita del 2,9%,la sesta flessione tendenziale di fila.
Ma al di là delle singole performance è un po' tutto il quadro che non va. Guardando i dati, per esempio, si scopre che nel primo trimestre, in termini congiunturali, il pil dell'area euro è cresciuto dello 0,5%, quello tedesco dell'1%, l'inglese dello 0,6, l'americano dello 0,8. In termini tendenziali, i dati variano così: 1,1 in Germania, 2,8 in Gran Bretagna, 3,6 negli States. Al Tesoro notano proprio queste differenze: l'Italia giù, con tutti i suoi problemi strutturali, il resto del mondo su. E ancora: un rapporto preparato dagli esperti di Almunia segnala proprio l'elemento di strutturalità dei guai nazionali, dove l'economia mostra «la maggiore debolezza della crescita dal 1990 ad oggi». Aggiunge che i principali sintomi di crisi sono due: le «scoraggianti» prestazioni dell'export e «la più lunga stagnazione produttiva dal dopoguerra» nel settore dei beni commerciali. Negli ultimi dieci anni la perdita di quote di mercato tocca il 30%. Analizzando infine la crisi dell'industria, viene fuori che, appunto, il made in Italy è al palo e soffrono proprio i settori di punta: la produzione industriale di abbigliamento, per esempio, è scesa a marzo dell'11% su base annuale, quella delle scarpe del 16,6, dei mobili dell'8,1, dei mezzi di trasporto del 4,2. In termini di competitività l'Italia appare "intrappolata nel tran tran», secondo gli esperti di Almunia che notano: "Contrariamente a Francia e Germania" la specializzazione produttiva nazionale «non è cambiata negli ultimi decenni»; il ciclo procede «per inerzia», danneggiato dai «bassi livelli» di investimento in ricerca, sviluppo, capitale umano.
Ecco, è in questo contesto che arriva il salasso del Pil. Gli esperti ora dubitano che il paese possa rispettare l'obiettivo di crescita dell'1,2%. La stessa Commissione ipotizza un secondo trimestre al ribasso per l'area euro, (la «forchetta» di previsioni scende fino a 0,2-0,6): vuol dire che Eurolandia s'indebolisce e che l'Italia, già fragile, rischia. «Bisogna reagire», esorta Berlusconi. L'idea su cui lavorano le diplomazie economiche è di strappare alla Ue più tempo per correggere gli squilibri dei paesi- Italia in testa- che sono in recessione tecnica. Anche per questo i Grandi d'Europa sono da stasera a consulto, a Lussemburgo.
Fosse solo il Pil, con tutto quel che ne consegue, compresa l'ipotesi di una manovra bis, definita adesso «più certa» dalla Corte dei Conti. L'Italia accusa a marzo pure un brusco ribasso tendenziale della produzione industriale del 5,2%, (a livello congiunturale 0,6%) causato anche dalla battuta d'arresto del made in Italy: è il terzo segno meno consecutivo, il maggior calo da ottobre 2004. Il dato, corretto per i giorni lavorativi, evidenzia una perdita del 2,9%,la sesta flessione tendenziale di fila.
Ma al di là delle singole performance è un po' tutto il quadro che non va. Guardando i dati, per esempio, si scopre che nel primo trimestre, in termini congiunturali, il pil dell'area euro è cresciuto dello 0,5%, quello tedesco dell'1%, l'inglese dello 0,6, l'americano dello 0,8. In termini tendenziali, i dati variano così: 1,1 in Germania, 2,8 in Gran Bretagna, 3,6 negli States. Al Tesoro notano proprio queste differenze: l'Italia giù, con tutti i suoi problemi strutturali, il resto del mondo su. E ancora: un rapporto preparato dagli esperti di Almunia segnala proprio l'elemento di strutturalità dei guai nazionali, dove l'economia mostra «la maggiore debolezza della crescita dal 1990 ad oggi». Aggiunge che i principali sintomi di crisi sono due: le «scoraggianti» prestazioni dell'export e «la più lunga stagnazione produttiva dal dopoguerra» nel settore dei beni commerciali. Negli ultimi dieci anni la perdita di quote di mercato tocca il 30%. Analizzando infine la crisi dell'industria, viene fuori che, appunto, il made in Italy è al palo e soffrono proprio i settori di punta: la produzione industriale di abbigliamento, per esempio, è scesa a marzo dell'11% su base annuale, quella delle scarpe del 16,6, dei mobili dell'8,1, dei mezzi di trasporto del 4,2. In termini di competitività l'Italia appare "intrappolata nel tran tran», secondo gli esperti di Almunia che notano: "Contrariamente a Francia e Germania" la specializzazione produttiva nazionale «non è cambiata negli ultimi decenni»; il ciclo procede «per inerzia», danneggiato dai «bassi livelli» di investimento in ricerca, sviluppo, capitale umano.
Ecco, è in questo contesto che arriva il salasso del Pil. Gli esperti ora dubitano che il paese possa rispettare l'obiettivo di crescita dell'1,2%. La stessa Commissione ipotizza un secondo trimestre al ribasso per l'area euro, (la «forchetta» di previsioni scende fino a 0,2-0,6): vuol dire che Eurolandia s'indebolisce e che l'Italia, già fragile, rischia. «Bisogna reagire», esorta Berlusconi. L'idea su cui lavorano le diplomazie economiche è di strappare alla Ue più tempo per correggere gli squilibri dei paesi- Italia in testa- che sono in recessione tecnica. Anche per questo i Grandi d'Europa sono da stasera a consulto, a Lussemburgo.
Sullo stesso argomento
Articoli in archivio
di Eric Sylvers su International Herald Tribune del 22/03/2006
di Tony Barber su Financial Times del 21/03/2006
di Tony Barber su Financial Times del 20/03/2006